Iniziato il 18 maggio, uno sciopero particolare ha coinvolto 55 dei 70 operai che operano nell’impianto di smaltimento e riciclaggio della plastica dell’hinterland milanese, appaltato ad una cooperativa laziale gestita da parenti della famiglia che possiede la Dielle.
Buste paga da fame, condizioni di salute e sicurezza aberranti (vari infortuni gravi, tra cui uno mortale nel 2011) e un trattamento semi-schiavistico (qui come altrove) sono alla base della rivolta che ha determinato uno scenario per certi versi inedito e che apre probabilmente la strada a nuovi percorsi di autorganizzazione all’interno di una classe operaia che parla, per lo più, lingue e dialetti africani.
Questa volta si tratta di una battaglia sindacale nel “mondo della produzione”, in questo caso di materia prima derivata dalla plastica e utilizzata altrove (Cina, Slovenia, Spagna…) per la produzione tessile e metalmeccanica. Non è più solo il terreno della logistica e dei trasporti da cui ha preso le mosse un movimento di scioperi ormai nazionale e dalla cui eco proviene anche questa battaglia
I padroni hanno reagito dichiarandosi disposti a concedere una parte degli aumenti salariali richiesti (passando cioè da 6 a 7€ netti all’ora) ma chiedendo in cambio l’accettazione di 25 esuberi in quanto…operai non graditi alla Dielle.
Gli operai da subito hanno dato vita ad un presidio permanente, con continui picchetti e blocchi di mezzi e crumiri, tenendo costantemente alta la testa di fronte alla becera arroganza padronale. Non hanno ceduto ai loro ricatti, né alle loro minacce, e resistito grazie alla propria unità e determinazione, superando le vecchie divisioni e paure interne, e grazie alla solidarietà esterna, organizzata dal SI.Cobas (sindacato al quale aderiscono al 100%) e da una serie di militanti solidali della zona, tra cui le RSU delle fabbriche vicine
Progressivamente l’azienda ha ottenuto l’appoggio della polizia che ha contrastato lo sciopero quotidianamente, con l’investimento di decine di agenti in antisommossa. Ma il loro intervento ha prodotto come unico effetto concreto, quello di forzare una serie di inutili trattative, messe in piedi da prefettura, questura e istituzioni locali del centro sinistra, preoccupato solo di non dover smascherare il proprio ruolo di gendarme della proprietà capitalista e di non doversi trovare costretto a usare la forza bruta contro un reparto operaio le cui indiscutibili ragioni vengono riconosciute quotidianamente anche da tutto il “vicinato”.
Mentre scriviamo gli esiti dello scontro sono ancora tutt’altro che scontati. La permanenza dello sciopero è intaccata solo superficialmente dall’utilizzo di una quindicina di crumiri (che spesso vengono fisicamente respinti) assoldati da una nuova cooperativa, e mette a dura prova la capacità di resistenza padronale. È anche vero che quasi due mesi di sciopero stanno mettendo ad un’altrettanto dura prova la capacità degli operai di poter sopravvivere in una condizione materiale a dir poco precaria. Ma aldilà di tutto resta vivo e vegeto un esempio di coraggio che, a suo modo, prelude in maniera lungimirante ad uno scenario più che probabile, date le condizioni oggettive che la crisi capitalista (intesa come intensificazione inevitabile dello sfruttamento a fronte dell’impossibilità, attraverso altri strumenti, di dare seguito all’accumulazione di capitale) pone sul tappeto per milioni e milioni di operai
Che si vinca o si perda sul terreno dello scontro sindacale, resta fondamentale continuare a operare delle scelte collettive di lotta in nome di una prospettiva più generale che porta un nome e un cognome impresso nella storia: la lotta di classe!
Corrispondenza Milano