Incurante dei “trionfi” elettorali del partito di Renzi, la crisi continua a produrre disoccupazione e povertà.
Come succede spesso in questi casi, non si sa se per istinto servile o per pura asineria, tutti i più noti commentatori dei fatti politici hanno avuto parole di compiaciuta meraviglia per i risultati elettorali del PD.
I polveroni dei dopo elezioni durano qualche giorno. Dopo ci si accorge che i problemi sono ancora tutti lì e che i miracoli che sembravano possibili con lo “straordinario” consenso riscosso da Renzi non sono così facili da realizzare.
Tutti fingono di credere che soluzione della crisi economica dipende da quanto si battono i pugni sul tavolo di Bruxelles. In questo modo ignorano non solo i meccanismi fondamentali dell'economia capitalistica, ma anche la serie di allarmi che moltissimi accreditati economisti hanno lanciato da tempo a proposito dell'enorme bolla finanziaria che continua a rappresentare la minaccia più dirompente e più immediata sull'economia mondiale.
Restando agli indicatori economici nazionali, nonostante quello che si dice e si scrive su una presunta lenta uscita dalla crisi, il primo trimestre dell'anno si è chiuso con un segno meno. Il Pil è diminuito dello 0,1%, mentre il consumo di energia elettrica, l'indicatore più attendibile dell'andamento dell'industria, è diminuito in aprile del 2,9% rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
La disoccupazione e la precarietà si allargano.
Una quota sempre maggiore della popolazione si sente esclusa da tutto: dal lavoro, da un reddito dignitoso, dalla prospettiva di una vita che valga la pena di essere vissuta. I risultati elettorali sono sempre uno specchio distorto della realtà sociale, ma sono comunque uno specchio. Se il partito di Renzi ha riscosso 11 milioni di consensi, il numero degli astenuti e di chi ha reso nullo il voto è di quasi 22 milioni!
Mancando un partito che incarni gli interessi e le aspirazioni più profonde dell'insieme della classe lavoratrice, questa è inevitabilmente preda dei giochi di prestigio del Renzi di turno oppure cade in una sterile disillusione e nei pregiudizi e nei luoghi comuni sulla politica in generale, dando credito a personaggi come Grillo.
Questa constatazione, sia detto per inciso, basta da sola a definire un intero campo di lavoro e un orizzonte politico per chi si considera un militante rivoluzionario nel movimento operaio.
Nel frattempo il padronato continua ad agire e ad esercitare la propria pressione sui partiti parlamentari, sul governo, sugli organi di informazione.
Con i famosi 80 euro mensili Renzi ha cercato di assicurarsi un consenso stabile in una parte dei lavoratori. Lo ha fatto a costo zero per gli imprenditori e quindi, in un modo o nell'altro, presentando il conto agli stessi lavoratori. Ma a parte questo, i provvedimenti sul lavoro vanno già nella direzione dei desideri della Confindustria, estendendo e stabilizzando la precarietà. Il governo fa proprio il lamento degli imprenditori italiani a cui piace recitare il ruolo delle vittime: “In Italia non si può fare impresa”. Ma i fatti hanno la testa dura. L'Italia, tra i paesi europei più sviluppati, ha il maggior numero di imprenditori sul totale della popolazione attiva. Evidentemente, il terreno non è così sfavorevole.
C'è da dire piuttosto che, negli ultimi anni, gli industriali italiani hanno preferito mettere i loro profitti nella roulette della speculazione finanziaria o nelle banche dei paradisi fiscali. Soltanto in Svizzera, ci sono circa 150 miliardi sottratti alle imposte. I padroni hanno in altri termini tolto denaro agli investimenti delle loro stesse aziende. Hanno preferito l'uovo oggi della “bella vita” per sé stessi e per i loro familiari, alla gallina domani dell'impresa ben attrezzata e ammodernata. Ora chiedono che il fossato che li separa dai loro concorrenti del Nord Europa sia colmato dai sacrifici della collettività e dei loro operai in primo luogo. Nel governo trovano interlocutori più che disponibili.
Al pubblico magari si racconterà una storia diversa e si descriverà la dura battaglia di Renzi in Europa per difendere le “nostre” ragioni contro la Merkel e contro gli ottusi “euroburocrati”. Ma il centro della questione, e certo non solo in Italia, è la solita e vecchia lotta di classe. Quella che il padronato, i banchieri, i loro portavoce politici hanno combattuto fino ad oggi contro la massa dei salariati e contro tutti i ceti popolari. Quella di cui la classe lavoratrice dovrà finalmente riconoscere l'esistenza e nella quale dovrà cominciare a dare qualche bel colpo invece di limitarsi a prenderne.