Le crisi non sono l’eccezione nel capitalismo: sono la regola. Così ha sempre proceduto lo sviluppo capitalistico, fin dalle origini. E non ci sono dubbi su chi ha sempre pagato le crisi e sta pagando anche la crisi attuale.
A forza di sentirlo ripetere, qualcuno finisce per crederci. “Abbiamo vissuto sopra i nostri mezzi”, ci ripetono con insistenza, a sei anni dall’inizio della crisi più devastante da quella tragica del 1929. Avere un posto di lavoro sicuro non sottoposto in ogni momento al ricatto della precarietà, andare in pensione quando non si è ancora in un’età decrepita, con un reddito che permetta una vita decorosa, dopo aver lavorato un numero ragionevole di anni con un salario decente, disporre di un servizio sanitario che consenta a tutti di curare le malattie e di una scuola pubblica di buona qualità, sono tutti lussi sfrenati che non possiamo più permetterci, “sprechi” o “privilegi” che vanno tagliati urgentemente, “residui del passato” non più adatti alla società del futuro.
Non è la classe lavoratrice e la parte più povera della popolazione ad avere voce in capitolo per decidere quali sono le priorità, e l’assenza di questa voce si fa sentire e si farà sentire sempre di più in futuro, se non avrà la forza di imporsi. Perché se non si impongono le priorità della maggioranza dell’umanità, finiscono per continuare a imporsi le priorità di una minoranza, questa sì privilegiata, che non ha intenzione di rinunciare a nessuno dei propri privilegi, e che li difenderà a tutti i costi. Di fatto, una crisi alimentata da una bolla finanziaria sulla quale ha lucrato una minoranza, una crisi arginata da un fiume di soldi pubblici che gli stati hanno riversato nel sistema indebitandosi a loro volta, si ritorce principalmente sulle vittime della crisi, e di norma non sugli artefici, che continuano a ingrassare alla grande.
Non è crisi per tutti. Uno studio recente, promosso da UBS, una società di servizi finanziari che è banca privata e banca d’investimento, fornisce una serie di notizie sui miliardari della ricchezza globale, e per loro sono tutte buone. Durante l’ultimo anno, nel mondo in crisi, i miliardari - calcolando la ricchezza in dollari - sono dieci in più, in totale sul pianeta sono 2.170 e gestiscono 6.516 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti sono al primo posto con 515 super ricchi dal patrimonio complessivo di 2.064 miliardi di dollari, ma subito dopo si piazza la Cina del super sfruttamento, con 157 miliardari e 384 miliardi di dollari di ricchezza. A ruota seguono Germania, Gran Bretagna, Russia, Hong Kong, Francia, Arabia Saudita e Svizzera. Presa nel suo insieme, però, l’Europa del rigore e dei tagli allo stato sociale rimane l’area con maggiore presenza di miliardari, anche se rispetto alle altre aree registra un lieve calo anziché un incremento.
Se l’ISTAT conferma infatti che in Italia il patrimonio del 10% di famiglie più ricche raggiunge il 46,6% della ricchezza totale, non stiamo parlando di un caso isolato in Europa, anzi la tendenza è confermata anche negli altri Paesi. Un dato recente arriva in particolare dalla Gran Bretagna, dove uno studio riportato sui quotidiani britannici Gurdian e Daily Mail afferma che stanno crescendo le disuguaglianze anche nel Regno Unito. Le cinque famiglie britanniche più ricche possiedono un patrimonio complessivo pari a quello del 20% più povero della popolazione, anzi un po’ di più: da una parte i cinque miliardari possiedono 28 miliardi e 200 milioni di sterline, dall’altra 12 milioni e 600 mila persone, corrispondenti a circa un quinto della popolazione inglese, possiedono 28 miliardi e 100 milioni di sterline. Anche in questo Paese negli ultimi vent’anni si è allargata la forbice tra i detentori della maggior parte di ricchezze e la popolazione povera: in questo periodo lo 0,1% più ricco della popolazione ha visto crescere i propri patrimoni quattro volte più in fretta del 90% della popolazione totale. Come riporta il Daily Mail, chi detiene la ricchezza la usa per dirigere i Governi in proprio favore, e infatti – come dovunque in Europa – anche nel Regno Unito i tagli al welfare sono pesantissimi, e la direzione è una sola: il ministro del Tesoro inglese Osborne propone di tagliare ulteriori 10 milioni di sterline sul welfare per ridurre le tasse sulle imprese e sulle grandi ricchezze. Magari con gli stessi pretesti usati dalle nostre parti, ossia per “rilanciare lo sviluppo” e “dare fiato all’economia”.
Nel capitalismo, come suol dirsi, tutto il mondo è Paese, e le soluzioni adottate non si discostano molto le une dalle altre. Per contro, mente senza alcun dubbio chiunque affermi che non ci sono le risorse per garantire a tutti un’esistenza decente. I soldi ci sono. Quello che manca la volontà di andarli a prendere dove sono. E, soprattutto, la consapevolezza e la capacità di resistenza della classe lavoratrice per non farsi depredare.
Aemme