Lo stabilimento piombinese sembra aver imboccato ormai una strada senza ritorno: 150 anni dopo le prime ferriere, l’altoforno è alle battute finali. Mesi e mesi nell’attesa di un compratore, poi le illusioni sul magnate arabo, infine i conti con la realtà. Non si faranno più binari a Piombino.
Non è mancato proprio niente nel dramma che ha coinvolti gli operai della fabbrica siderurgica piombinese e insieme a loro l’intera città e buona parte della ragione, dato che a Piombino arrivavano per lavorare da Livorno a Grosseto, per non parlare dell’entroterra. Non è mancata nemmeno la farsa, dall’avventuriero arabo che prometteva le mille e una notte e non sborsava un centesimo, all’ultima umiliazione di uno stupido casting promosso dalla Cgil e da un’agenzia giornalistica per una serie di penosi filmati, nei quali alcuni lavoratori (pochi, in verità) si sono acconciati perfino a supplicare il papa di intercedere per loro. Ma non ci sono né papi né partiti politici borghesi né governi amici per gli operai della Lucchini, tutt’al più ci potranno essere accordi che allungheranno l’agonia.
Nel momento in cui scriviamo non ci sono più scorte di minerale per l’altoforno, che verrà caricato solo con il carbone coke per la produzione cosiddetta “in bianco”, in modalità conservativa, cioè praticamente a vuoto, per il solo mantenimento dell’impianto, in modo da poterlo riavviare in caso di necessità. Un’eventualità ormai meno che probabile da qui al 30 maggio, data entro la quale dovrebbe essere conclusa la fase di acquisizione dello stabilimento. Fino a quel momento, e verosimilmente anche dopo, si vivrà alla giornata. A oggi non esiste alcuna certezza su chi alla fine comprerà lo stabilimento né sul mantenimento del sito produttivo, ancora meno su quanti saranno i lavoratori che resteranno in fabbrica alla fine dei giochi. Una sola cosa è certa: se le Ferrovie italiane avranno bisogno di binari, andranno a comprarli all’estero.
La volontà di reazione dei lavoratori ha dovuto attraversare anni di logoramento e di speranze deluse, un tira e molla continuo che aveva già dato per spacciato l’altoforno più volte, e che aveva già visto rinvii dello spegnimento e riapertura delle prospettive. Non sono mancati momenti di lotta anche aspra, con scioperi e manifestazioni partecipate, ma senza un coordinamento in primo luogo con le fabbriche del gruppo, allargandosi poi ad altre realtà di crisi, non era facile mantenere alto il livello della lotta. L’impressione generale, parlando con gli operai, registra una fase di stanchezza e di grande sfiducia. In questo senso i sindacati stanno facendo il loro mestiere, che consiste ormai nel mercato degli ammortizzatori sociali. L’ultima assemblea, nella quale è stata presentata la proposta del ricorso ai contratti di solidarietà estesi a tutti i lavoratori Lucchini, e per quanto possibile anche a quelli dell’indotto, anziché intervenire con la cassa integrazione limitata ai lavoratori dell’area a caldo, ha visto la partecipazione di circa 300 operai, una minoranza rispetto agli oltre duemila della fabbrica, che hanno approvato l’accordo con una percentuale di favorevoli del 97%.
Non ci sono pensionabili a Piombino, con o senza la legge Fornero. L’età media in fabbrica è bassa, solo il 20% ha più di cinquant’anni. Esaurita l’epoca dei prepensionamenti, esaurita in fin dei conti anche quella dei pensionamenti - se si pensa che ormai non è prevista la corresponsione di una pensione fino al compimento dei 67 anni – restano i quattro anni di ammortizzatori previsti per l’area, calcolati a partire dal novembre scorso. E dopo?