Oltre il polverone informe dell'indignazione generalizzata contro la “politica”
Dopo aver fatto parlare di sé per diversi giorni, lo scorso dicembre, il movimento dei Forconi o come lo si vuole chiamare, sembra essere rifluito. È davvero così?
La domanda avrà una risposta nelle prossime settimane. Comunque è certo che, indipendentemente dalla forma organizzata o semi-organizzata che ha preso, e indipendentemente dalle infiltrazioni fasciste e dal supporto di varie altre forze politiche della destra, delle tifoserie organizzate e di associazioni “eretiche” di commercianti, contadini e piccoli imprenditori, questo movimento ha dato voce ad una estesa rabbia popolare. Una rabbia che è figlia della crisi e che riguarda vasti settori di piccola borghesia oltre che di lavoratori salariati.
Pochi o tanti che siano stati i partecipanti, in ogni città dove si sono svolti i cortei o i sit-in, i loro volantini e le loro parole d'ordine esprimevano idee, pregiudizi e stati d'animo, aspettative, illusioni e rivendicazioni, che sono nella testa di un enorme numero di persone. Ce ne accorgiamo tutti i giorni, nelle conversazioni che si sentono al bar, alla fermata dell'autobus o in una vettura di un treno di pendolari. Se l'adesione attiva a questi movimenti è stata piuttosto limitata, non lo è stata e non lo è la simpatia.
Dunque siamo di fronte alle prime manifestazioni di una nuova ondata di proteste popolari? Nessuno può dirlo. Si può dire che ce ne sono tutte le premesse e che ci saranno anche nell'anno appena iniziato. Il 2014, che pure è stato indicato dai portavoce del governo come l'anno dell'uscita dalla recessione, porterà con sé, per loro stessa ammissione, un ulteriore aumento della disoccupazione.
L'indignazione è diffusa. Ma è anche confusa.
Gli operai, i lavoratori salariati, hanno, di fronte alla crisi, loro proprie e distinte rivendicazioni da far valere. Non hanno niente da guadagnare nell'incoraggiare il nazionalismo, con i suoi piagnistei sulla perduta “sovranità nazionale”, oppure le deliranti prospettive di una soluzione di tipo fascista o semi-fascista.
La storia vergognosa della “Legge di stabilità” e del “Decreto salva-Roma”, il continuo riproporsi di scandali che toccano esponenti politici di primo piano, mantengono ben vivo il fuoco dell'indignazione popolare contro il mondo della politica parlamentare. Questo clima potrà forse aiutare anche il crescere e l'irrobustirsi di uno specifico fronte di rivendicazioni da parte della classe lavoratrice. Ma è indispensabile definire, propagandare e difendere queste rivendicazioni.
Gli operai non possono essere la truppa di piccoli industriali rovinati dalla crisi e non devono subire l'influenza delle loro illusioni. Il fine ultimo di questi ultimi è semplicemente un capitalismo che funzioni bene, un capitalismo con meno economia finanziaria, meno tasse e meno burocrazia, magari un po' autarchico e protezionista. È un'utopia che si scontra con le storia e con la dinamica delle gigantesche e cieche forze economiche che costituiscono ormai la sostanza dell'unico capitalismo possibile ai nostri giorni.
Le rivendicazioni della classe operaia sono un'altra cosa: per non morire semplicemente di fame, gli operai devono ottenere un salario garantito, comunque lo si voglia chiamare, che non sia legato alle fortune dell'azienda che li impiega. Per non essere sbattuti fuori dal ciclo produttivo devono ottenere il divieto per legge di ulteriori licenziamenti e la distribuzione dei carichi di lavoro fra tutti i dipendenti di una stessa impresa a parità di trattamento economico. Questi non sono che i primi punti di un programma di sopravvivenza che la crisi del capitalismo impone alla classe operaia.
I cinque giorni di sciopero “selvaggio” dei tranvieri genovesi hanno mostrato di quale coraggio e di quale combattività sia ancora capace la classe lavoratrice.
Se non vogliamo che una protesta informe e generica ci lasci con un pugno di mosche in mano, bisogna prendere l'iniziativa.
Da subito, i militanti del movimento operaio facciano quello che è in loro potere per difendere e rendere espliciti, in ogni occasione, l'indipendenza, gli interessi specifici e le rivendicazioni della classe lavoratrice.