Acciaierie di piombino - Il tempo delle promesse e’ scaduto ora serve la garanzia di un salario

Gli operai di Piombino difendono l’altoforno insieme al loro futuro. Probabilmente siamo all’epilogo di una crisi industriale che data da tempo, e che sembra alla stretta finale. Forse qualcuno ancora spera che tutto si risolva senza lottare veramente, ma ormai non può essere che una minoranza.


Sono passati giusto vent’anni, da quando l’azienda di Stato Acciaierie di Piombino veniva svenduta al gruppo Lucchini, che la ristrutturava con la collaborazione dello stesso Stato, tagliando pesantemente i posti di lavoro e servendosi a piene mani di cassa integrazione e prepensionamenti. All’epoca i lavoratori di Piombino si impegnarono con una dura lotta e uno sciopero durato quaranta giorni. Tutta la città partecipò, portando la propria solidarietà ai lavoratori davanti ai cancelli della fabbrica. Per giorni e giorni si improvvisarono assemblee e volantinaggi, e insieme alla necessità stringente della lotta si respirava comunque – almeno all’inizio – la fiducia positiva nelle proprie forze.

Oggi la fabbrica si trova di nuovo in una strettoia, e stavolta sono i lavoratori che devono lasciare i cancelli della fabbrica per rivolgersi alla città. Da anni i sindacati non proclamavano uno sciopero generale del comprensorio in solidarietà con la fabbrica; probabilmente ci voleva proprio la partecipazione dei tre segretari nazionali, e la necessità della triplice di garantire una partecipazione adeguata, per spingere i sindacati in questa direzione. Comunque sia, lo sciopero di 4 ore del 3ottobre è sostanzialmente riuscito e la manifestazione è stata numerosa e partecipata, anche con una folta rappresentanza degli studenti.

Nei giorni successivi i lavoratori hanno occupato la fortezza del Rivellino, con lo scopo dichiarato di raggiungere la “visibilità” sufficiente a ottenere un incontro con il Ministero dello Sviluppo economico Zanonato. L’obiettivo era chiedere l’intervento del Governo per evitare lo spegnimento dell’altoforno; il risultato è stato un’occupazione simbolica durata cinque giorni, il tempo di avere un incontro e di uscirne con un diniego. I lavoratori hanno immediatamente lanciato una raccolta di firme per chiedere le dimissioni del Ministro, subito frenati dal Presidente della Regione.

Il ministro Zanonato dice che ci sono ancora mesi per trovare una soluzione.

Ma quale soluzione? Secondo il Governo e secondo il commissario straordinario, e secondo le Banche che ormai hanno in mano il futuro dello stabilimento, la fine dell’altoforno è decisa per novembre, rimangono solo i tempi tecnici per lo spegnimento. A gennaio 1400 lavoratori potrebbero ritrovarsi in cassa integrazione, senza prospettive certe, e a seguire un altro migliaio, una volta finite le scorte per i laminatoi.

Non c’è più tempo per le promesse. Una volta decretata la fine dell’altoforno, nessuno a oggi può dare garanzia che gli investimenti per gli impianti Corex si realizzeranno, e soprattutto nessuno in buona fede può dichiarare che, una volta portata a termine la riconversione “ecologica” della fabbrica e il rilancio della produzione siderurgica a Piombino, gli impianti potranno occupare lo stesso numero di lavoratori.

Chi pensa ancora che alla fine tutto si sistemerà, e come in passato qualche santo troverà il modo di risolvere la situazione, non ha molte probabilità di vedere realizzate le proprie aspettative. Il futuro è un’incognita, e perdere l’altoforno da subito, senza nemmeno l’ombra di un’alternativa, è uno schiaffo in faccia a tutti i lavoratori che per decenni hanno garantito lauti profitti alla proprietà e un profilo di alto livello nella produzione nazionale dell’acciaio. Tutti sarebbero d’accordo sul fatto che di produrre acciaio c’è bisogno; nessuno è disposto a rischiare per farlo, né le Banche né il Governo né altri investitori. Gli unici che dovrebbero essere disposti a farlo, e a cui si pensa di accollare qualsiasi rischio per intero, dovrebbero essere i lavoratori. Dovrebbero essere i lavoratori a sopportare anni di cassa integrazione, e poi magari la disoccupazione, al posto di un salario già troppo basso per il costo della vita; dovrebbero essere i lavoratori e le loro famiglie a rimanere senza un reddito.

Ma i lavoratori non possono accettare di subire le conseguenze di scelte che non hanno fatto, e di cui non hanno nessuna responsabilità. Se l’altoforno si deve fermare, se il futuro della fabbrica è affidato a ipotesi che al momento non hanno alcuna concretezza, di concreto e reale c’è invece il bisogno del salario per loro. Nei forzieri delle Banche che tengono in ostaggio gli impianti ci sono fondi a sufficienza, accumulati del resto in decenni di profitti, per assicurare un futuro dignitoso ai lavoratori.

La lotta non è finita. A tre settimane dalla manifestazione del 3 ottobre, un nuovo sciopero ha portato gli operai ad occupare e bloccare per con un corteo la statale Aurelia. Di fronte alle rivendicazioni di molti lavoratori, che accusavano i sindacalisti di voler inscenare “la solita passeggiata”, e chiedevano di forzare i blocchi e continuare la protesta, c’è stata la solita doccia gelata, con i rappresentanti che sono riusciti a tenere tutti buoni, avanzando il pretesto dell’incontro avuto a Firenze con Letta e Napolitano.

Ancora promesse, ma forse i lavoratori non ci credono più.

Corrispondenza Piombino