Un lavoratore su tre è precario. Si avviano alla disoccupazione una quarantina di giovani su cento. I salari sono fermi, anzi recedono di fronte all’avanzare del costo della vita. I tre sindacati maggiori siglano con Confindustria un accordo storico sulla rappresentanza e sulla limitazione del diritto di sciopero. Se ne sentiva veramente la mancanza….
Dopo anni di pantomima sulle presunte distanze tra i sindacati che compongono la triplice Cgil Cisl e Uil, ci voleva il ritorno al governo dello stile democristiano perché i nostri riuscissero a ritrovare la perduta concordia. Annunciato da fanfare all’unisono, sia da parte sindacale che confindustriale, con la benedizione corale dei partiti, PD in prima fila, l’accordo sulla rappresentanza detta le nuove regole sulla contrattazione. Per la prima volta si stabilisce in maniera quanto più possibile codificata chi sarà autorizzato a stare al tavolo delle trattative, attribuendosi il compito di rappresentare i lavoratori, e soprattutto si blindano quanto più possibile gli accordi presenti e futuri, con clausole di cosiddetto “raffreddamento dei conflitti”, così da rendere quanto più possibile difficile organizzare scioperi e rivendicazioni. Non a caso, come riferisce Il Sole 24 ore del 1.6.13, la segretaria della Cgil Susanna Camusso ha commentato l’accordo con le stesse parole di Giorgio Squinzi, segretario di Confindustria: “Un accordo storico, che mette fine a una lunga stagione di divisioni”. “Bella notizia! E’ il momento di unire, non di dividere!” gli ha fatto eco il Presidente del Consiglio Enrico Letta. “Segno importante e incoraggiante di volontà costruttiva e di coesione sociale!” ha rincarato il Presidente della Repubblica.
Non si può dire che le organizzazioni sindacali trattassero da posizioni di forza. Indebolite da anni di acquiescenza, quando non di assoluta e servile subordinazione, fiaccate da una crisi economica feroce, che non sono state mai in grado di gestire con una resistenza organizzata, cos’altro avrebbero potuto trattare, se non il proprio ruolo e la propria sopravvivenza in quanto tali? In cinque anni di crisi hanno ceduto terreno in modo progressivo su tutto: condizioni di lavoro, precarietà, salari, pensioni. Non che prima della crisi avessero messo in campo argini efficaci: da almeno vent’anni il cedimento è stato vistoso e crescente. Ma la crisi ha fatto da volano alle esigenze delle imprese, e ha mostrato le falle più profonde dalla parte dei lavoratori.
Con questo accordo, la triplice dichiara di avere ottenuto la “democrazia sindacale”, per aver escluso dalle trattative per i rinnovi contrattuali i sindacati che non superino la soglia del 5% dei lavoratori, in base a un calcolo effettuato pesando il numero delle deleghe certificate con trattenuta sullo stipendio, e il numero di voti raccolti nelle elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie. Si tratta di una decisione presa in nome e per conto anche delle ipotetiche altre organizzazioni che, superando il 5% dei lavoratori così calcolato, avrebbero potuto sedersi allo stesso tavolo prendendo decisioni diverse. Da oggi in poi, gli accordi saranno validi se approvati dal 50% più uno delle organizzazioni sindacali deputate a trattare. Per capirsi, non si conteranno i lavoratori rappresentati, quelli valgono solo per sedersi al tavolo. Quando si firmano gli accordi, valgono solo le organizzazioni; perciò, se firmano due organizzazioni minoritarie, gli accordi valgono anche per quella maggioritaria che eventualmente non abbia firmato: esattamente il caso avvenuto più volte negli ultimi anni alla Cgil. Solo che, se finora la Cgil aveva potuto opporsi agli accordi, da oggi sarà vincolata dalla firma delle altre organizzazioni. Ci sembra di vederlo, il corpo molle della Cgil, il funzionario medio che non si ricorda nemmeno più cosa vuol dire lavorare, che aveva dovuto sobbarcarsi ogni volta la contestazione degli accordi…di sicuro tirerà un sospiro di sollievo per la fatica che si potrà risparmiare.
Anche la Fiom alla fine si è arresa, e anzi per bocca del suo segretario Maurizio Landini plaude all’accordo, rivendicando l’ottenimento della consultazione dei lavoratori come un successo della categoria. Ma la consultazione dei lavoratori è già oggetto di interpretazioni divergenti, intendendo per voto sugli accordi anche la semplice espressione delle RSU. D’altra parte, quando anche le consultazioni fossero allargate a tutti i lavoratori, e considerate le modalità di voto praticate in passato, l’esperienza insegna che raramente si è potuto mettere in discussione davvero un qualsiasi accordo.
Chi ha ragione di cantar vittoria sul serio è Confindustria, che incassa in un colpo solo la neutralizzazione delle forze dissenzienti in Cgil, la piena “esigibilità” degli accordi e il controllo del diritto di sciopero. Per la prima volta nel secondo dopoguerra infatti, chiunque intendesse mettere in discussione con gli scioperi qualsiasi accordo, anche quello più evidentemente capestro, potrebbe incorrere nelle sanzioni, che saranno previste dai contatti categoria per categoria. E’ un dettaglio che pudicamente, nelle dichiarazioni dei suoi dirigenti, la Cgil ricopre con un velo pietoso, ma che Confindustria ha preteso, e che costituisce sicuramente il pezzo più consistente dell’intesa. Ai sindacati la sopravvivenza, ragiona Confindustria, a noi i contratti blindati; e che nelle intenzioni di Confindustria ci sia un’ulteriore stretta sulle condizioni normative e salariali non si può dubitare. Per contro, a nessuno viene in mente di chiedere conto ai sindacati, circa le sanzioni in cui dovrebbero incorrere i padroni per le loro inadempienze. Nei confronti dei padroni, nessun accordo è stato mai pienamente esigibile, e mai sono state previste sanzioni per gli accordi non applicati.