La Commissione europea ha approvato un piano “strategico” di sostegno al settore siderurgico. Nelle pagine dei quotidiani che commentavano il fatto, il 12 giugno, sono stati pubblicati alcuni dati che fanno riflettere.
La siderurgia europea risente della generale sovraccapacità degli impianti. Questa sovraccapacità, a livello mondiale, è attualmente di 542 milioni di tonnellate. Di questi, 200 riguardano la sola Cina. In Europa l'eccedenza di capacità produttiva sarebbe di 80 milioni di tonnellate e rappresenterebbe un terzo del fatturato. Ma – riportiamo ancora le stime apparse sui quotidiani – la prospettiva non è così nera. Intanto perché i paesi europei, che insieme costituiscono il secondo polo siderurgico del mondo, con una quota dell'11%, hanno incrementato comunque l'export del 4%. Ma la cosa più importante è che gli analisti stimano che da ora al 2025 la domanda mondiale di acciaio dovrebbe aumentare di 2 miliardi e 300 milioni di tonnellate.
Dunque, in una prospettiva nemmeno troppo lontana, il sistema siderurgico dovrà non solo sfruttare al 100% le proprie capacità produttive, ma anche svilupparle in una misura che è 3 volte l'attuale “sovraccapacità”.
L'organismo comunitario lavora su un progetto di riduzione dei costi di produzione. In primo luogo quello energetico, ma anche quello delle leggi e delle norme che dovrebbero, dicono, essere semplificate. C'è anche il progetto di destinare risorse comunitarie alla ricerca e allo sviluppo.
Alla fine si tratta di soldi. Un altro fiume di soldi sul quale si getteranno i vari gruppi industriali interessati, che presumibilmente faranno assecondare la propria voracità da ben retribuite campagne politiche e giornalistiche “patriottiche”.
Mettiamo insieme queste notizie che vengono da Bruxelles con quelle di provenienza nazionale. Qualche giorno fa, circa 1000 operai di Taranto sono stati messi in cassa integrazione, a Piombino e a Terni, non si sa quello che accadrà il giorno dopo. Degli oltre 8 miliardi della famiglia Riva, di cui il gip Patrizia Todisco ha disposto a suo tempo il sequestro, per imporre alla proprietà delle acciaierie Ilva il pagamento del costo delle bonifiche ambientali, ne sono stati recuperati poco più di uno.
Il quadro è questo: sia gli analisti, sia le associazioni dei produttori d'acciaio, sia gli organi dell'UE prevedono una ripresa del consumo di acciaio in tempi non lunghissimi. I produttori d'acciaio, e in prima fila quelli italiani o con filiali in Italia, la tirano per le lunghe, minacciano chiusure, tagli di posti di lavoro, ecc. perché sperano di ottenere il massimo di finanziamenti pubblici, comunitari o nazionali. Ricattano la comunità con lo spettro della disoccupazione e con la falsa alternativa fra lavoro e salute.
In realtà, gli enormi profitti accumulati in questi anni, costituiscono una riserva sufficiente a garantire il 100% dei posti di lavoro e anche le necessarie operazioni di modifica e messa a norma degli impianti secondo le norme sulla sicurezza ambientale.
La siderurgia resterà un buon business, di questo i padroni e le banche azioniste sono sicuri. Ma vogliono come garanzia ancora più soldi dai contribuenti e la certezza di un regime di sfruttamento più inumano.
Ci sarebbero tutte le ragioni e le basi più solide per una vertenza siderurgica se non europea almeno nazionale. Ci sono tutti i presupposti economici per rivendicare il mantenimento del 100% dei posti di lavoro, anche attraverso una riduzione degli orari di lavoro a paga intera e per rivendicare, per specifici interessi operai, almeno una parte del flusso di denaro che si intende dare alle imprese.
R. Corsini