Il ricatto: o accetti o si chiude il cantiere. Ma il 32% dei lavoratori vota NO al referendum
Che fine ha fatto la realizzazione del bacino di costruzione per il quale era stato deciso lo studio di fattibilità nell'accordo di programma del 9 novembre 2011, firmato da Ministero dello Sviluppo Economico e da tutti i sindacati confederali?
E' forse la domanda che si sono fatti i lavoratori della Fincantieri di Castellammare di Stabia che l'11 febbraio scorso si sono espressi nel referendum sull'accordo siglato il 1° febbraio, anche questo da tutti i sindacati.
Già, perché, in quest'ultima intesa, del bacino di costruzione non c'è più traccia, ma si parla soltanto della commessa di una nave fluviale per l'armatore canadese Societé des Traversiers du Quebec. Si tratta di un traghetto di piccole dimensioni che dovrà essere consegnato alla fine del 2014.
La commessa frutterà 148 milioni di euro alla Cassa Depositi e Prestiti, attuale proprietario di Fincantieri voluto dal governo Monti per pilotare la vendita dell'azienda a capitali privati. Un accordo che ai 609 lavoratori porterà invece riduzione d'organico (circa il 40%), prepensionamenti, flessibilità contrattuali e un solo anno di lavoro "certo".
L'azienda, complici i sindacati confederali, accampando la crsi della cantieristica, negli anni passati ha razionalizzato la produzione espellendo dal ciclo produttivo gran parte delle maestranze e usando contro di esse i lavoratori dell'indotto, specializzati ma sottopagati e privi di ogni tutela.
Nell'accordo del 1° febbraio si legge che «il sito di Castellammare... ha dovuto registrare... un carico di lavoro insufficiente per la piena saturazione delle risorse». Tutta colpa, afferma l'azienda, dei giganti asiatici come Hyundai, Samsung ed Stx, i cui cantieri cinesi possono contare su una manodopera supersfruttata.
A pagare la scarsa competitività di Fincantieri con la cassa integrazione e la perdita dei diritti sono stati, e continuano ad esserlo, i lavoratori, compresi quelli dell'indotto. I profitti, invece, non si toccano! Il bilancio operativo del 2012, approvato il 26 febbraio scorso dal cda di Fincantieri è emblematico: ricavi per 2,38 miliardi di euro, margine operativo lordo di 137 milioni e utili per 15 milioni (9 nel 2011).
L'esito del referendum sull'accordo di Castellammare è stato ben lontano dal risultato plebiscitario auspicato da azienda, Fiom, Fim, Uilm e Ugl. Il 32% dei lavoratori ha detto NO all'accordo-ricatto. Perché di questo si tratta. In perfetto stile "Pomigliano", i lavoratori sono stati messi di fronte ad un ricatto: o accetti la commessa canadese e il ridimensionamento degli impianti e delle maestranze, o si chiude il cantiere. Una chiusura, peraltro, probabilmente solo rimandata e un ricatto che sarà presto riproposto anche agli altri cantieri come quello di Sestri.
L'unica via d'uscita per i lavoratori di Fincantieri è quella di riprendere la lotta facendola convergere con quella di tante altre aziende in crisi (Fiat, Alcoa, Ilva, ecc.) contro i tagli al salario e ai posti di lavoro e per redistribuire il lavoro esistente tra tutti a pari salario.
Solo così i lavoratori potranno ritrovare la fiducia nella propria forza.
Corrispondenza da Napoli