Tunisia: Dopo l'assassinio di Shukri Belaid
L'assassinio dell'avvocato Shukri Belaid il 6 febbraio all'uscita di casa ha accelerato la crisi politica in Tunisia. Chiaramente si trattava di colpire un popolare esponente dell'opposizione a Ben Ali e poi al governo attuale capeggiato dal partito islamista Annahda. L'emozione si è espressa massicciamente, in particolare da parte di chi aveva partecipato alle manifestazioni che avevano portato alle dimissioni del dittatore, sia a Tunisi che nelle città delle regioni abbandonate del centro ovest, Sidi Bouzid, Siliana, Kasserin. L'8 febbraio i funerali sono stati seguiti da parecchie decine di migliaia di manifestanti. Quel giorno i partiti d'opposizione e la centrale sindacale UGTT avevano chiamato allo sciopero generale e i trasporti, i negozi, i taxi erano paralizzati.
Così si esprimeva la collera contro il cosiddetto governo della “troika” insediatosi dopo le elezioni dell'ottobre 2011 e composto dal presidente Marzuki, dal partito di destra CRP, dal presidente dell'assemblea nazionale costituente Ben Jaafar, dal partito Attakatol che si presenta come socialdemocratico, e innanzitutto dal partito dei Fratelli musulmani Annahda rappresentato dal primo ministro Jebali. Al tempo stesso si esprimeva la collera contro Annahda, la sua politica e il suo capo Ghanushi, accusati in di avere aizzato l'odio dei loro fautori contro i rappresentanti dell'opposizione di sinistra e di avere fatto circolare durante le prediche di alcune moschee liste nere di personalità da ammazzare come Belaid ed altri e per questo di essere responsabili dell'assassinio di quest'ultimo.
La polizia, superata dal numero dei manifestanti, non ha mancato di utilizzare lacrimogeni e manganelli, come ogni volta che i disoccupati, gli scioperanti o gli studenti si fanno sentire, rifiutandosi di sottomettersi ai diktat dei gruppi salafisti. In quanto al primo ministro Jebali, di fronte all'emozione suscitata si è limitato a proporre un governo composto da “tecnocrati” presentandosi senza etichetta politica, il ché è stato accettato dai due altri membri della “troika” così come da parecchi partiti dell'opposizione.
Così il partito unificato dei patrioti democratici, di cui Belaid era uno dei dirigenti, ha dichiarato tramite uno dei suoi responsabili che, anche se la proposta di Jebali arrivava un po' tardi, egli la sosteneva. Tutti o quasi tutti i partiti d'opposizione di sinistra chiedono la formazione di un “governo d'unione nazionale” o di un “congresso nazionale che combatta la violenza e protegga gli interessi superiori della nazione e del popolo”. Purtroppo così affondano in una trappola e ci affondano anche la popolazione lavoratrice tunisina.
L'interesse dell'immensa maggioranza non può essere soddisfatto da questi appelli ad un governo d'unione nazionale che includa tutti i partiti laici, dalla sinistra alla destra, perché definirsi come oppositori ai salafisti e a Annahda non significa che si vuole difendere gli interessi degli oppressi.
Quelli che, dalla fine dicembre del 2010 hanno lottato perché Ben Ali se ne andasse volevano anche il pane e la libertà per la gioventù senza lavoro, i lavoratori sottopagati, le famiglie ridotte a condizioni di vita misere. Ma dopo la partenza di Ben Ali si sono visti offrire solo il miraggio di una cosiddetta “transizione democratica” mirante a preservare l'essenziale degli interessi dei ceti dirigenti e dell'imperialismo, e anche l'essenziale dell'apparato statale che aveva imperato sotto la dittatura di Ben Ali.
Da quel momento nessuno dei nuovi partiti nati da questa “transizione” ha scelto di esprimere chiaramente gli interessi della classe operaia del paese, dei lavoratori precari del turismo e del commercio, dei poveri delle regioni abbandonate, dei giovani senza futuro.
Il partito dei Fratelli musulmani, presente dappertutto, usufruisce di molteplici reti che spesso distribuiscono aiuti e sostegni ai più poveri, ai meno istruiti, e di più gode dell'immagine di oppositore a Ben Ali. Quindi ha vinto facilmente le elezioni con il suo partito Annahda.
Adesso al posto della dittatura di Ben Ali si sta insediando la dittatura di questo partito islamista.
Nel frattempo in due anni la situazione della popolazione povera non è migliorata: la crisi economica in Europa ha avuto un impatto sulle esportazioni tunisine (l'80% si fanno in direzione dell'Unione europea) e l'industria del turismo. La disoccupazione, l'estrema precarietà, i bassi salari sono sempre la regola. Scarse e inefficienti sono state le misure, anche se annunciate con gran rumore dal governo.
In questo si riassume, per milioni di tunisini poveri, questa "transizione democratica" che sempre più assomiglia ad una dittatura islamista.
Mentre sullo sfondo di una miseria strisciante alcuni mascalzoni si organizzano e le armi circolano al mercato nero, l'8 febbraio alcuni manifestanti completamente disorientati si sono appellati all'esercito, gridando all'attenzione del generale rimasto neutro negli scontri nel gennaio 2011: "Rashid Ammar, perché ci hai abbandonati".
Ma né gli islamisti al potere, né una fantomatica unione nazionale, né un esercito che si mantiene in disparte per poter diventare, all’occasione, una risorsa spendibile, difenderanno gli interessi degli oppressi tunisini. Per loro non c'è stata alcuna rivoluzione. La loro rivoluzione, anzi, rimane completamente da fare.
V.L.