Ilva di Taranto - Devono pagare i padroni!

A Taranto l’iniziativa della Magistratura ha suscitato, ormai da qualche mese, tanto la preoccupazione per la perdita di migliaia di posti di lavoro, quanto quella per il proseguimento di un’attività industriale altamente inquinante. Dopo aver disposto il sequestro degli impianti a caldo, il luglio scorso, con conseguenti ferie forzate per cinquemila operai, il Giudice per le indagini preliminari (Gip) Patrizia Tedesco ha disposto, lo scorso 26 novembre, il sequestro dei prodotti finiti: coils e lamiere. Il governo ha reagito facendo proprie non tanto le preoccupazioni dei lavoratori quanto quelle della famiglia Riva, padrona delle acciaierie. Così, per quanto le perizie, sulle quali si è basata fin dall’inizio, il Gip di Taranto, parlassero esplicitamente di 164 morti accertate come riconducibili all’inquinamento ambientale dell’Ilva, per quanto si facesse esplicito riferimento, riferendosi alla popolazione locale, a “fenomeni degenerativi che si traducono in malattia o morte”, il governo ha decretato che la produzione deve continuare e, contestualmente, si deve procedere alla bonifica degli impianti e del territorio. Quanti morti e quanti malati cronici costerà ancora questo “contestualmente”? Sembra che nessuno nel governo si sia posto questa domanda e nemmeno il Presidente Napolitano che ha messo la propria firma sotto al decreto.

Comunque finisca questo scontro tra poteri dello stato, e non è affatto detto che finisca qui, ciò che rimane in ombra è la risposta alla domanda: “Chi pagherà?”.

Il costo della bonifica è stimato da certe fonti in circa 4 miliardi. I membri della famiglia che detengono di fatto la proprietà sono Emilio Riva e i suoi figli: Nicola e Fabio. I primi due sono agli arresti e il secondo è uccel di bosco dalla fine di novembre. Pare sia andato a Miami e, da laggiù, a Santo Domingo, paese che non riconosce l’estradizione. Una parte rilevante del gruzzolo di famiglia è nelle isole Guernsey e in Lussemburgo, note piazze finanziarie off-shore. È abbastanza chiaro il tentativo di mettere al riparo il patrimonio di casa Riva da qualsiasi ingiunzione di pagamento troppo “onerosa”. Ad agosto i Riva avevano prospettato un investimento di 90 milioni, come prima tranche, seguiti da una seconda tranche di 46. “Bruscolini”, riconosceva lo stesso quotidiano della Confindustria del 17 agosto. Ma il solerte ministro dell’Ambiente Clini tranquillizzava i Riva sul fatto che ci sarebbero stati aiuti da Bruxelles , mentre il ministro Passera dichiarava che 600 milioni erano a disposizione per un “contratto di programma”.

Oggi, temporaneamente stoppata l’iniziativa della Magistratura, negli ambienti governativi si fa un gran parlare di trasformare non solo le acciaierie ma la città di Taranto. La fantasia al potere! Fino ad ora hanno lasciato che gli ingenti profitti dell’Ilva (due miliardi e mezzo di utili tra il 2008 e il 2011!)si accumulassero a costo di tumori, sterilità ed altre patologie che colpiscono in modo particolare gli abitanti dei quartieri a ridosso della più grande acciaieria d’Europa, ora raccontano a chi ci vuol credere che Taranto e dintorni diventeranno una specie di parco naturale.

Il segretario della Fiom, Landini, ha detto che, dato i grandi costi della bonifica, deve intervenire lo stato. Ma l’unico modo perché questo non risulti l’ennesimo regalo a dei padroni miliardari, dovrebbe essere la requisizione degli impianti senza alcun indennizzo e il contestuale sequestro di tutti i beni della famiglia Riva, per consentire il pagamento dei salari pieni ai ventimila lavoratori dell’acciaio mentre si procede alla bonifica ad impianti inquinanti fermi. Se no si tratta del solito film visto mille volte: il pubblico mette i soldi e i profitti vanno ai privati.

La verità è semplice: in un paese dove chi gestisce una friggitoria deve seguire costose procedure per smaltire gli oli alimentari saturi, e va incontro a multe salatissime e alla chiusura dell’attività se non le rispetta (ed è giusto, intendiamoci) non si capisce perché chi produce acciaio non debba attenersi almeno alle stesse regole.

R.Corsini