Non si sa con quale successo, ma nonostante la crisi, il lavoro precario, la cassa integrazione, gruppi bancari e assicurativi non rinunciano alla prospettiva di spillare ai lavoratori qualche briciola del loro magro reddito. In un Paese di gente che non ce la fa più a risparmiare, che anzi intacca i suoi risparmi se ancora ce li ha, e più spesso non riesce a far fronte alle scadenze e alle spese correnti, figuriamoci alle spese straordinarie, c’è chi si adopera perché finalmente avvenga il decollo dei fondi pensione, mai risultati attraenti per i lavoratori italiani.
Devono averci pensato a lungo, e dopo studi approfonditi e chissà quanti calcoli e proiezioni statistiche, sono arrivati alla conclusione che, se nessuno ha voglia di investire qualcosa dei quattro soldi che prende nei fondi pensione, è perché non sa a quanto ammonterà realmente la sua pensione pubblica. Così, negli ultimi tempi, abbiamo assistito agli sforzi di qualche volenteroso studioso o addetto del ramo, che addirittura si è preoccupato di esortare il Ministro del Lavoro Elsa Fornero, quella che lacrimava dopo averci mandato in pensione a 68 anni, perché ci spieghi con quanto poco dovremo vivere dai 68 anni in poi. Dovrebbe farlo appunto lei, perché, in quanto Ministro tecnico, “non è soggetta alle paure dei ministri politici, né ai vincoli all’azione che derivano dall’interesse a essere rieletti” (Il Sole 24 ore, 30.10.12). Il che la dice lunga su quello che dovrebbe spiegarci, e che già tempo fa qualche altra testa pensante aveva segnalato, con il timore che – qualora gli interessati conoscessero gli importi delle loro pensioni future – si sarebbe andati incontro a una rivolta sociale.
Una rivolta sociale contro chi intende affamarci per alimentare questo assurdo sistema economico-sociale per noi è l’unico auspicio possibile, e l’unica speranza per evitare di farci affamare.
Detto questo, non è precisamente per evitarla che, proprio sul Sole 24 del 30.10 u.s. due esimi studiosi scrivono alla Fornero una lettera aperta. I loro timori riguardano non tanto i rischi di reazione, ma il rischio che lo Stato si ritrovi in collo una massa di straccioni da mantenere in qualche modo, e – per altri versi – il rischio che i futuri pensionandi poveri non siano disponibili oggi a mettere a disposizione dei mercati finanziari i loro soldi, accantonandoli in qualche fondo privato. Fino ad oggi nessun fondo ha funzionato meglio delle pensioni pubbliche, tutti hanno rendimenti minori, e soprattutto non c’è garanzia alla fine di riavere intatto il capitale investito. E soprattutto, con quali soldi i lavoratori poveri di oggi dovrebbero alimentari i fondi per non essere pensionati poveri domani?
Che si sappia o meno quanto andremo a prendere di pensione, l’unico investimento che ci conviene è quello della lotta, per il salario oggi e per la pensione domani.