Quello che segue è il testo del volantino diffuso nel corso della manifestazione dei siderurgici di Piombino lo scorso 10 ottobre
La lotta per il posto di lavoro e per una garanzia di reddito non riguarda solo i lavoratori siderurgici. Facendosi forti della crisi, i grandi gruppi industriali stanno conducendo una lotta contro i diritti dei lavoratori in Italia, in Europa, nel mondo. Quote di ricchezza nazionale enormi sono state trasferite negli ultimi anni dai salari e dalle pensioni ai profitti. Miliardi e miliardi, che li si calcoli in euro, in dollari, in sterline, yuan o rubli e che tutti sono stati accumulati tagliando salari, diminuendo le tutele, chiudendo impianti e concentrando la produzione dove gli stati maggiori delle corporations lo ritengono più utile.
Prendiamo il settore siderurgico: ai lavoratori di Piombino, come a quelli di Taranto, di Trieste o di Genova si racconta la favola di difficoltà economiche nel mercato, di eccessivi costi aziendali, ecc. . Ma se diamo uno sguardo ai dati ci accorgiamo che il 2011 è stato un anno record per la produzione mondiale di acciaio, con 1527 milioni di tonnellate. In Europa la produzione è aumentata del 7%. Quando parliamo di Arcelor, di Riva, di Severstal, parliamo di colossi di livello mondiale nelle cui casse sono accumulate fortune che spesso superano i bilanci di una piccola nazione. Arcelor-Mittal opera in 60 paesi e ha 260 mila dipendenti, Riva è il primo produttore italiano e il quarto in Europa, Severstal ha assunto come obiettivo di diventare entro il 2015 una delle prime cinque imprese mondiali per redditività.
Dunque i soldi ci sono! Non stiamo parlando di piccole imprese artigianali, stiamo parlando di grandi gruppi multinazionali! Bisogna partire da questo dato di fatto e bisogna comprendere che, stando così le cose, il fronte di lotta deve essere il più ampio possibile perché si tratta soprattutto di costringere questi gruppi a rinunciare a qualche briciola dei loro enormi profitti!
Qualcuno pensa che unendo le proteste dei lavoratori di Piombino a quelle dei lavoratori di Trieste o di Taranto si rischia di far allontanare i “riflettori” dalla propria specifica situazione. Ma questa teoria dei “riflettori” ha già prodotto danni enormi ai lavoratori. Bisogna anzi guardare oltre i limiti della stessa categoria siderurgica. Ci sono centinaia di aziende in crisi e centinaia di migliaia di posti di lavoro in pericolo, oltre a quelli già persi. Occorre mettere sul piatto il massimo della forza e quindi il massimo di unità fra tutte le categorie dei lavoratori. Qualunque sia il punto di partenza di ogni singola crisi aziendale, essa sbocca invariabilmente in una chiusura o in un ridimensionamento dell’occupazione. È un dramma sociale che impone una risposta generalizzata.
Lottiamo per il posto di lavoro, contro i licenziamenti, contro la chiusura degli impianti, per la garanzia a tutti di un salario integrale. Facciamo di queste parole d’ordine la bandiera di una mobilitazione di tutti i lavoratori!
Circolo operaio comunista “L’Internazionale”