Gli operai da oltre un anno si mobilitano con la stessa esemplare determinazione in difesa del posto di lavoro
Il 2 novembre 2011 la Fiat chiudeva Irisbus, lo stabilimento irpino in Valle Ufita, l’unico che produceva autobus in Italia. Gli operai avevano appreso la notizia già il 7 luglio da un articolo de “Il Mattino”. Da quel giorno è iniziata la lotta per difendere i 700 posti di lavoro della fabbrica e gli 800 dell’indotto rivendicando un piano nazionale dei trasporti a garanzia del mantenimento della produzione di bus in Valle Ufita.
Gli operai davano vita ad assemblee, scioperi, picchetti, manifestazioni come quella del 21 settembre 2011 davanti al Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) repressa brutalmente dalla polizia. Questa prima ondata di proteste culminò nell’assemblea permanente del 26 settembre dello stesso anno. In quella sede gli operai approvavano un documento che dava conto di tutta la loro rabbia con la pressante richiesta di uno sciopero generale del gruppo Fiat e con l’accusa alle direzioni sindacali di non aver rispettato l’impegno preso nell’assemblea del 7 settembre di spostare la vertenza dal MISE alla Presidenza del Consiglio dell’allora governo Berlusconi e di indire una grande manifestazione a Roma il 21 dello stesso mese.
Le trattative al MISE si rivelavano inconcludenti, con il ministro Romani che provocatoriamente ipotizzava la cessione di Irisbus al costruttore di city car Di Risio, quel faccendiere che aveva cercato di accaparrarsi lo stabilimento di Termini Imerese al solo scopo di mettere le mani sui soldi pubblici. L’unica certezza era la cassa integrazione per tutti i lavoratori a partire dal 3 ottobre (vedi “L’Internazionale”di novembre 2011).
Da allora niente è cambiato. A dire il vero è cambiato il governo, ma il ministro Passera non ha fatto meglio del suo predecessore.
L’incontro dello scorso 10 ottobre si è concluso con la solita deludente certezza: cassa integrazione per tutto il 2013, con la sola “novità” della promessa di includere 200 lavoratori nel decreto per gli “esodati”. Per il resto, il nulla! Nessun potenziale acquirente, se si eccettua un fugace accenno al presunto interessamento di un certo Cottone, imprenditore che nel 2008 ha riproposto la produzione della Lambretta (prima le city car, ora gli scooters: un altro Di Risio?). Nessun piano nazionale dei trasporti nonostante il parco autobus in Italia sia obsoleto e pericoloso e, pertanto, necessiti di essere rinnovato quasi per intero. La chiusura di Irisbus, di conseguenza, obbligherà il nostro paese ad acquistare i bus presso altre nazioni come la Francia e la Repubblica Ceca, dove la Fiat è presente con i suoi stabilimenti. Tutto ciò mentre in Irpinia si contano ormai 80000 disoccupati su una popolazione di 400000 persone, un territorio in cui la povertà cresce a dismisura e la mancanza di lavoro è terreno sempre più fertile per la camorra.
In questo fosco scenario, a brillare resta soltanto la determinazione degli operai di Irisbus, che da oltre un anno non hanno smesso di lottare con accanimento e, nel caso di una trentina di loro, ad organizzarsi nel comitato Resistenza Operaia.
Questi operai, sin dal primo momento, hanno capito che le trattative al MISE erano una perdita di tempo, che il piano Fabbrica Italia di Marchionne era una menzogna, che la Fiat è una multinazionale che punta a perseguire operazioni finanziarie a livello internazionale anziché costruire auto in Italia.
In tutto questo periodo si sono susseguite occupazioni di municipi irpini (Flumeri e Ariano Irpino), presidi davanti alla prefettura di Avellino, a Palazzo Chigi e al Quirinale, dove lo scorso 1° ottobre gli operai, unitamente a sindaci e assessori irpini, hanno dato vita ad una rabbiosa ed indignata protesta caratterizzata da momenti di forte tensione.
Un operaio ha minacciato di darsi fuoco dopo essersi cosparso di benzina, altri si sono incatenati insieme ad alcuni amministratori. Il presidio veniva poi smantellato dall’intervento della polizia che malmenava un manifestante e portava in questura alcuni lavoratori. Nemmeno questo brutto episodio è però servito ad afflosciare la volontà di lotta degli operai che, durante l’incontro al MISE del 10 ottobre, hanno manifestato davanti al ministero insieme ai lavoratori di Pomigliano e di altre realtà Fiat.
Dopo un anno di lotta i 700 operai di Irisbus, tra trasferimenti, pensionamenti e decreto “esodati” sono rimasti circa la metà. «Quale killer peggiore poteva esserci un anno fa… Il “lavoro sporco” di cui si è tanto parlato non lo ha fatto più Di Risio, ma la politica e il sindacato».
Queste le crude ma inoppugnabili considerazioni espresse in un recente comunicato del comitato Resistenza Operaia, che si conclude con la promessa di continuare a « lottare per produrre autobus in Italia in quello stabilimento con lo stesso numero di unità lavorative che avevamo il 7 luglio 2011 e chi vuole unirsi alla nostra battaglia è ancora il benvenuto».
Corrispondenza da Napoli