“riforma” o nuova rapina?

La non – trattativa sulla riforma del mercato del Lavoro è ancora in corso. Se i lavoratori non avranno la forza di condizionarla, tutte le decisioni saranno sulle loro spalle.

Il 29 febbraio la Banca Centrale Europea ha inondato di denaro i circuiti finanziari europei: quasi 530 miliardi di euro. Alla precedente asta di finanziamento a tre anni del 21 dicembre scorso, le Banche private europee avevano già ottenuto quasi 490 miliardi di euro, quindi soltanto negli ultimi due mesi più di 1.000 miliardi di euro a un tasso fisso agevolato dell’1%: soldi freschi praticamente gratis, che dalle banche non usciranno se non con tassi dal 6% a molto molto di più, un regalo occulto che giornali e TV citano a margine di notizie ben più amplificate, nel migliore dei casi accompagnando l’informazione con qualche commento sulla necessità di “sostenere il credito”.

Credito le Banche non ne fanno, o se lo fanno a tassi da strozzinaggio; di preferenza decidono di strozzare gli Stati acquistando titoli pubblici, per riscuotere i quali stanno in una botte di ferro. Basterà strozzare a loro volta i lavoratori e le classi più povere di ogni Paese, per ottenere una ricca e sicura remunerazione dei loro investimenti. Per evitare l’agonia della Grecia bastava annullare il suo debito di 800 miliardi di euro, meno di quanto le Banche si siano accaparrate in due mesi di iniezioni della BCE: ma annullare il debito della Grecia serviva a chi? Soltanto alle classi popolari greche, che stanno lottando tra salari da fame, pensioni non pagate, scuole che non funzionano e ospedali senza medici e senza medicine, tutti destinatari troppo insignificanti per gli interessi del capitale. Che del resto sta realizzando un vero e proprio capolavoro: far apparire come ovvia, logica, giusta e inevitabile un’organizzazione sociale assurda e criminale, che preserva i privilegi degli sfruttatori e affossa chi, con il suo lavoro, di fatto mantiene in piedi il sistema. E in modo ancora più sottile, è capace di far passare per democrazia il dominio diretto del capitale finanziario sulla società, come sta succedendo oggi in Italia con il cosiddetto “governo tecnico”, che nessuno ha eletto, nemmeno con la farsa delle elezioni borghesi, e che agisce senza mediazioni e inutili orpelli per conto dei “mercati”. E che per ora, sotto l’occhio vigile dei “mercati”, arraffa dove può arraffare: se poi tutto ciò potrà provocare miseria e recessione, e alla fine ripercuotersi anche sul funzionamento del sistema…ci si penserà quando succederà. Mario Monti può ben fregarsi le mani dichiarando: “il popolo italiano sta dimostrando una maturità, nell’accettare i sacrifici, molto superiore a quanto i politici pensavano che avesse”.

E dopo la mazzata sulle pensioni, lo stesso Governo sta andando avanti – per conto di Confindustria - con la riforma del mercato del lavoro, in questo contesto e con questi presupposti. Al momento in cui scriviamo la trattativa con sindacati e imprese non è conclusa, e anzi di una vera e propria trattativa non si può parlare. Il Governo ha infatti sgombrato il campo da eventuali fraintendimenti: la riforma si fa anche senza l’accordo, e sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori non possono esserci veti. D’altronde, lo scalpo dell’art. 18 è un obiettivo a cui sarà difficile che rinunci, e le ipotesi a proposito dei vari provvedimenti cambiano di giorno in giorno. Fra quelle prospettate a gennaio c’erano: un accesso al lavoro che esclude l’art. 18 per i primi 3 anni, allo scadere dei quali si potrà essere licenziati con un risarcimento; un reddito minimo; contratti a termine con salario lordo non inferiore a 25.000 euro. A febbraio la musica era già cambiata: contratto di apprendistato con possibilità di inquadramento di due livelli in meno per il dipendente e sgravi fiscali per l’impresa, con ulteriori incentivi per la stabilizzazione al termine del periodo; ammortizzatori sociali per tutti i 12 milioni di lavoratori privati, ma se li devono pagare aziende e lavoratori stessi; per il reddito minimo non ci sono i fondi; la flessibilità in entrata andrebbe resa più costosa, ma le imprese non ci stanno, anzi chiedono più libertà nell’utilizzo del lavoro interinale. Ipotesi che sono circolate sulla stampa si riferiscono a un possibile scambio, per le imprese, tra disponibilità a una minore convenienza sui contratti precari e una corposa compensazione costituita dallo svuotamento dell’art. 18; ma evidentemente le imprese vorrebbero mano libera a tutto campo. Il vero obiettivo è affermare il principio che un’azienda può fare sempre e comunque tutto ciò che vuole, licenziamenti compresi.

A coronamento del quadro, è piovuta sulla trattativa la notizia, vecchia, stagionata e confermata di anno in anno, ma diffusa stavolta da Eurostat, che i salari reali italiani sono tra i più bassi d’Europa. E dato che, per ragioni ignote, la notizia è stata divulgata da tutti i telegiornali in prima serata come se fosse una novità, improvvisamente è diventata vera ed stata ritenuta degna di commento. Il Ministro del Lavoro Fornero aveva già sentenziato che gli ammortizzatori sociali dovrebbero costituirsi con un sistema assicurativo-contributivo a carico di lavoratori e imprese, il che aveva fatto esclamare al segretario Uil Angeletti: “Ministro, ma se lei ci sta proponendo un modello dove facciamo tutto da soli, che ci ha chiamato a fare? Se dobbiamo pagare tutto noi, perché paghiamo le tasse?” (Corriere della Sera, 24.2.12). In quest’altra occasione ha deplorato un mercato del lavoro imbarbarito e con troppe tasse, ma la sua ricetta per curarlo – naturalmente per il futuro dei giovani! – non è originale: bisogna aumentare la produttività. Si tratta di un vecchio trucco che Fornero conosce bene, un trucco vergognoso per negare ai lavoratori il diritto a un salario decente. Del resto Fornero sa bene che aumentare la produttività con una media addetti delle imprese italiane di 3,9 unità è quanto meno utopistico - anche qualora fosse accettabile e anche lavorando 24 ore al giorno (lo sa pure un bimbo dell’asilo che si scavano più buche con una ruspa che con una pala). E forse dimentica che poi dovrebbe anche trovare a chi venderli, i prodotti di quell’aumento di produttività.

Aemme