Il vero baratro è quello in cui ci spinge Monti

Come si sa, stare dalla parte degli operai non è di moda. Non è nemmeno prudente dal punto di vista politico. Parliamo della politica romana, quella che insegue il consenso nel pubblico dei talk-show e nei lettori dei grandi quotidiani. Lo si è visto in occasione dello sciopero dei metalmeccanici del 9 marzo come decine altre volte prima. Se per i partiti di destra questo atteggiamento è scontato, lo sta diventando anche per il PD. Stare con la Fiom e con i sindacati di base? State scherzando! Naturalmente si troverà sempre qualche esponente “progressista” che si fa vedere e intervistare ai cortei operai ma “a titolo personale”. In fin dei conti è meglio così. Nell’interesse della chiarezza. Il PD ha perso anche l’ultimo brandello di apparente legame con la classe lavoratrice. Agli occhi dei metalmeccanici che hanno sfilato a Roma in difesa dell’articolo 18 quello di Bersani è apparso un partito liberale, come gli altri.

In questi lunghi giorni di trattativa sulla riforma del mercato del lavoro, ogni volta che ha preso forma e forza l’interesse dei lavoratori, cioè di quelli che subiranno questa riforma, i maggiori partiti di centrodestra e di centrosinistra, cioè quelli che sostengono il governo Monti, si sono trovati – sostanzialmente uniti – dall’altra parte della barricata. Intervistato nel corso del corteo del 9 marzo, un metalmeccanico ha detto: “Noi operai non abbiamo rappresentanza politica in parlamento” . E’ vero! ma se è vero che la consapevolezza di un problema è il primo passo per risolvere questo problema, c’è da augurarsi che la riflessione di quell’operaio, che non è certo un caso isolato, porti, presto o tardi, alla formazione di un partito dei lavoratori. Che sia presente o meno in parlamento, è in fin dei conti secondario. La forza di un partito operaio, sta nella capacità di raccogliere e disciplinare le forze migliori della classe lavoratrice: i militanti più risoluti e più stimati fra i propri compagni di lavoro. Un partito che ambisca domani a dar voce a una classe di decine di milioni di persone, deve prima organizzarne la parte più combattiva e cosciente.

Intanto, usufruendo dell’appoggio di Bersani e soci e della “ragionevolezza” di Bonanni e di Angeletti, ma anche dei progressivi mal di pancia della Camusso, il governo va avanti. Dall’inizio dell’anno le pagine dei giornali si sono riempite di articoli, corredati di tabelle e schede che ci illustravano le meraviglie del modello scandinavo di ammortizzatori sociali. Uno che perde il posto di lavoro dovrà avere un’indennità prossima al salario fino a quando non troverà un altro lavoro con caratteristiche simili a quello che ha lasciato. Bello! Ma poi gli effetti speciali sono finiti e si è cominciato a dire che i soldi per un tale paradiso danese non ci sono e che, in pratica, si tratta di rendere inoffensivo l’articolo 18, dello Statuto dei lavoratori o di abolirlo addirittura. Inoltre, dovrà essere abolita la cassa integrazione in deroga e limitata l’efficacia di quella straordinaria, escludendone l’applicazione nei casi di chiusura di un’azienda. Alla fine, per quello che si capisce al momento che scriviamo, la famosa riforma regalerà al padronato la mano libera sui licenziamenti e ai lavoratori una minore copertura, economica e normativa, in caso di licenziamento individuale o collettivo.

Nel frattempo aumenta la disoccupazione, aumenta la precarietà e aumentano…i prezzi. Di tutto: dalle tariffe alla verdura. E aumentano, naturalmente, le tasse.

Già, ma hanno ridotto lo spread. Perché i mercati hanno tanta fiducia in Monti e nel suo governo. I mercati: cioè una qualche decina di consigli di amministrazione di colossi bancari e finanziari mondiali, con i quali il capitalismo italiano è intrecciatissimo. Volevano qualche misura concreta e Monti ha già dato loro un innalzamento insensato dell’età pensionabile e un blocco dell’adeguamento delle pensioni sopra la cifra favolosa di 1200 euro al mese.

L’unica forza che può fermare il massacro sociale è la classe lavoratrice. Le manifestazioni di resistenza all’offensiva governativa e padronale devono moltiplicarsi e devono darsi obiettivi chiari e condivisibili da tutti i lavoratori. Un salario minimo decente e assicurato a tutte le categorie, la proibizione dei licenziamenti, la riduzione delle ore di lavoro a parità di salario in tutti i settori o le aziende in crisi, un’indennità di disoccupazione che non sia un’elemosina e che sia corrisposta integralmente fino al nuovo impiego. Non sono obiettivi fuori dalla realtà, sono gli unici obiettivi che possono impedire che la miseria più nera divenga la realtà della maggioranza dei lavoratori.

Perché Monti e i suoi ministri, con stile, con garbo, con sobrietà e magari con qualche lacrimuccia stanno rovinando la vita di milioni di persone e preparano il vero baratro, quello di un futuro di miseria per chi oggi è ancora giovane. Ma al mondo annunciano: “Abbiamo salvato l’Italia!”.