La loro manovra e le nostre rivendicazioni

Il drammatico aggravamento del debito pubblico in tutti i paesi più sviluppati è indubbiamente il fattore che pesa maggiormente sulle politiche economiche e sociali di tutti i governi. Gli stati dei paesi più ricchi del mondo, a seguito della crisi del 2008, hanno messo a disposizione il proprio tesoro per salvare il sistema finanziario. Ora le stesse banche che hanno beneficiato del denaro pubblico, pretendono – e ottengono - dai governi i più duri provvedimenti sociali, quale garanzia della certezza del pagamento dei titoli di stato di cui hanno piene le casseforti! Hanno contribuito alla rovina finanziaria degli stati, vi hanno speculato sopra, e ora pretendono di farne pagare le spese alla massa della popolazione!

La storia accidentata della manovra finanziaria in Italia sta dentro questo quadro. Le perentorie direttive dell’UE, della Banca Centrale europea, le rampogne della Merkel e di Sarkozy hanno messo in ridicolo il facile ottimismo di Berlusconi. Improvvisamente, bisognava dire come si intendeva arrivare al pareggio di bilancio, bisognava presentare un piano credibile per reperire questi cinquanta, sessanta o settanta miliardi! I “mercati”, nel frattempo, soppesavano tutto. Il famoso spread, la differenza fra il rendimento dei titoli di stato italiani con quelli tedeschi, misurava la fiducia “in picchiata” degli speculatori di borsa nella solvibilità del debito italiano.

Nel frattempo, le successive versioni della manovra aggiungevano o toglievano a seconda degli scontri interni alla maggioranza. Non solo fra Lega e PdL, ma anche fra questo e i vari partitini nati solo per lucrare sul proprio sostegno parlamentare al governo. Inoltre, tutte le corporazioni facevano sentire il proprio peso: dagli avvocati ai farmacisti, per non parlare della “casta” dei politici di professione sui quali si erano accesi i riflettori e contro i cui privilegi si erano annunciati provvedimenti draconiani finiti nel nulla. La voce dell’opposizione non si è quasi sentita se non per vantarsi di aver consentito, a luglio, la rapida approvazione del decreto che fissa la portata economica generale della manovra.

Qualunque destino abbia la manovra di Tremonti, sia nelle sue successive reincarnazioni, sia nelle inevitabili aggiunte che si prospettano, bisogna dire che né il governo italiano, né gli altri governi, sanno bene che cosa fare per contrastare la speculazione sui titoli di stato e meno ancora per disinnescare la bomba a orologeria del debito pubblico. E non parliamo della ripresa produttiva, di cui si sono perse le tracce.

Lo smarrimento regna sovrano. Anche l’esistenza dell’Euro non sembra più un dato acquisito una volta per tutte. Una buona metà del mondo imprenditoriale italiano, riunito a Cernobbio, come tutti gli anni, ritiene possibile la fine della moneta unica europea nel giro di tre anni. Tali sono il disorientamento e l’incertezza nella “classe dirigente”! Ecco allora che colpire i lavoratori appare come la soluzione più tranquillizzante, una via nota, già battuta mille volte. Così, dietro al polverone sull’emergenza si è inserito nella manovra un articolo che non c’entra niente con il deficit di bilancio ma sopprime di fatto l’efficacia dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori: “Sarà più facile licenziare”, titolavano i quotidiani il giorno successivo. In una tappa successiva si introduceva poi, di nuovo, l’aumento dell’età pensionabile per le donne del settore privato.

I portavoce del governo promettono una decisa caccia agli evasori fiscali. Uno dei pochi che ci crede, Mario Sechi, direttore del Tempo, ha scritto che è stato approntato un meccanismo micidiale (ha scritto proprio così!) che incrocerà i dati dei redditi, delle spese e dei conti correnti.

Il risanamento, almeno parziale, del debito pubblico imporrebbe di trovare i soldi dove sono. Il dieci per cento delle famiglie italiane possiede il 45% della ricchezza nazionale, ma solo il 2% dei contribuenti denuncia un reddito maggiore di 74mila euro l’anno. Oltre al meccanismo micidiale, ammesso che sia tale, ci vorrebbe la volontà di usarlo.

I ricchi pagheranno solo se vi saranno costretti da una grande pressione sociale. L’adesione allo sciopero generale nazionale indetto dalla Cgil, la grande partecipazione alle molteplici manifestazioni locali, hanno dato, ancora una volta, la misura delle forze che il mondo del lavoro potrebbe mettere in campo in una grande e prolungata mobilitazione. Ma bisogna che avanzi le proprie rivendicazioni! Rivendicazioni che riguardino tutto il mondo del lavoro, i pensionati, i disoccupati.

Il proseguire e l’aggravarsi della crisi, con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, con l’estensione di forme ottocentesche di rapporti lavorativi, con l’abbassamento di fatto dei salari ottenuto con mille trucchi dai datori di lavoro, pone in primo piano, in primo luogo, il problema della salvaguardia di condizioni minime di esistenza civili per milioni di persone. Proibire i licenziamenti e non renderli più facili, fissare un salario minimo vitale garantito per tutte le categorie, adeguabile automaticamente al costo della vita, spartire la massa del lavoro fra occupati e disoccupati senza diminuire i salari. In quale altro modo, con quali altri obiettivi, i lavoratori, nel loro complesso, potrebbero contrapporsi ad una catastrofe sociale che si avvicina di giorno in giorno?