Sono le 8 del 24 aprile 1921 quando un centinaio di fascisti armati provenienti da Trentino, Emilia, Bresciano, Mantovano e Veronese, tra cui i picchiatori veronesi della “Disperatissima”, confluiscono a Bolzano. Non si tratta di una gita fuori porta, ma di una vera e propria spedizione punitiva: quel giorno infatti in Austria si svolge il plebiscito per decidere l’annessione alla Repubblica di Weimar, mentre a Bolzano è in programma una manifestazione folkloristica per la riapertura, la prima dopo la fine della guerra, della fiera cittadina; è attesa gente da tutti i paesi, ed i fascisti locali, decisamente in pochi per poter scatenare disordini contro i “tedeschi”, hanno chiesto aiuto ai fasci delle altre provincie e regioni.
I fascisti sfilano in corteo a file di quattro, con in testa i caporioni Achille Starace, Roberto Farinacci e Alberto De Stefan; saccheggiano, devastano, manganellano, tirano bombe, provocano ed aggrediscono gli abitanti di lingua tedesca. Bilancio: un morto e 48 feriti. È la “Bozner Blutsonntag”, la domenica di sangue.
Il giorno dopo la città è paralizzata da uno sciopero spontaneo; 8mila persone riempiono la piazza del mercato del bestiame, tedeschi ed italiani assieme, questi ultimi in gran parte ferrovieri; il sindaco denuncia in un discorso la complicità delle autorità, che non hanno effettuato un solo arresto; parlano anche gli operai socialisti Franz Tappeiner e Carlo Biamino, e Reut-Nicolussi del Deutscher Verband. I rappresentanti politici di lingua italiana e tedesca e dei ferrovieri si recano dal commissario generale per la Venezia Tridentina.
Nel frattempo, tre giorni prima dei fatti, erano entrati in sciopero i tranvieri delle linee Bolzano-Gries, Bolzano-San Giacomo, Merano-Lana, Merano-Maia e Dermulo-Mendola con rivendicazioni economiche. Lo storico sindacato dei ferrovieri italiani SFI estende la protesta alle ferrovie. Ai ferrovieri altoatesini si affiancano da subito quelli della Venezia Giulia e del Trentino; è la paralisi. Alla protesta politica si affiancano le rivendicazioni economiche; i ferrovieri, in gran parte originari di altre regioni d’Italia, protestano per il taglio di due terzi dell’indennità di trasferta (diventa impossibile pagare gli affitti e sfamare le famiglie nei luoghi di origine) e la mancata costruzione di alloggi, già promessi per poter trasferire sul posto le rispettive famiglie e farle ricongiungere coi trasfertisti.
Le rappresaglie aziendali e statali non si fanno attendere: blocco dei salari già maturati, campagna verso la popolazione sul carattere antinazionale della lotta (“lesa patria”), serrata di monti di pegno, mense, dormitori, depositi rifornimento viveri, abolizione del contingentamento della quota individuale di farina agli scioperanti.
Nonostante ciò l’adesione è pressoché totale dappertutto. I pochi treni che transitano sulla dorsale del Brennero (in media cinque al giorno) sono condotti da ingegneri e personale della Marina Militare, macchinisti navali per nulla esperti di locomotive, e le conseguenze non tarderanno a verificarsi.
A Branzollo (Chiusa) alle 8 del 25 aprile, i macchinisti si danno scioperanti ed abbandonano il treno 2110. Tre eroi, gli ingegneri della Trazione Rotth, Trombetta e Gigante, partono per recuperarlo e fargli fare gli 11 km che rimangono per raggiungere Bolzano. “Sia lode e gloria ai loro studi”: alla protezione di Bolzano, in leggera salita, il treno si inchioda e non c’è verso di riuscire a ripartire. Mosso da pietà, il Comitato di Sciopero autorizza un macchinista scioperante a raggiungere il convoglio e ricoverarlo in stazione…
Dopo cinque giorni in cui non circola alcun treno l’ingegner Cicogna riceve l’ordine di condurre il 68; il poveretto arriva a Bressanone dopo una decina di fermate (non previste), e prosegue a locomotiva isolata lasciando carrozze e viaggiatori in stazione…
Pochissimi i crumiri: 11 in tutto, mandati da fuori compartimento; due di questi, quando dal Brennero raggiungono Innsbruck per sostituire gli scioperanti di lingua tedesca, questi li accolgono come meritano, ovvero a grandi legnate!
Le cronache da Tarvisio sono commoventi. Gli scioperanti sono “soli, privi di notizie, circuiti di lusinghe prima,minacciati poi, a corto di viveri al punto da essere costretti a sfamarsi per parecchi giorni con delle lumache [..] Degno dei maggiori elogi si è mostrato il personale tedesco, in massima parte avventizi, il quale alle minacce ha risposto iscrivendosi in massa al sindacato nostro”.
A Trieste persino quasi tutti i funzionari si astengono dal lavoro. Anche lì i treni che circolano sono condotti dalla Regia Marina. Il 25 si svolge un’assemblea al Teatro Fenice, che non basta a contenere tutti i partecipanti; a Trieste l’adesione è compatta, così compatta che anche i ferrovieri fascisti hanno aderito allo sciopero.
Il 1° maggio lo sciopero per un giorno è nazionale; dappertutto si svolgono i comizi ferrovieri per rivendicare le 8 ore. Il giorno successivo lo sciopero dei ferrovieri in Alto Adige, trentino e Venezia Giulia, così come quello dei tranvieri altoatesini prosegue compatto. Tre giorni dopo i tranvieri vengono licenziati per rappresaglia, ma la lotta prosegue. Scioperano muratori, gasisti, netturbini, la richiesta è comune: vogliamo le 8 ore! Cinque-seimila scioperanti, più i ferrovieri… che sono venticinquemila.
Venticinquemila scioperanti, venticinque giorni di sciopero. Numeri da capogiro. Lo sciopero ferroviario prosegue, nonostante gli attacchi della stampa borghese reazionaria; dopo 25 giorni (che in alcuni impianti arrivano a 27) le rivendicazioni vengono accolte: una lotta eccezionale, non solo per la durata ma perché lavoratori italiani e tedeschi hanno superato le barriere e si sono uniti. Il «Corriere della Sera» attacca a testa bassa il governo Giolitti, accusandolo di non essere intervenuto con la forza per ristabilire l’ordine e di aver perso un’occasione per dare una lezione ai ferrovieri e ai loro rappresentanti. Avvisaglia di quanto succederà poco più di un anno dopo.
A Bolzano il bilancio del crumiraggio è di 24 locomotive guaste, colpi di fuoco e cilindri sfondati; a Trieste quattro locomotive sostano in attesa di essere inviate alla demolizione a causa dei danni procurati dai marinai. Nei depositi si ammassa il materiale distrutto dai crumiri. Tutte le rivendicazioni vengono accolte: ripristino dell’indennità di trasferta, sistemazione degli avventizi, avvio di un programma di costruzione alloggi.
Non mancheranno le rappresaglie: il segretario sezionale sindacale di Fortezza, Adolf Berger, verrà espulso dall’Italia per rappresaglia, e con lui molti ferrovieri di lingua tedesca verranno rispediti in Austria. La linea Bolzano-Merano-Malles verrà militarizzata dal sesto reggimento del Genio Ferrovieri, che la gestirà nei decenni successivi.
Rimane un grande episodio di solidarietà di classe che supera i confini nazionali, in un contesto di becero nazionalismo e nonostante il fascismo alle porte.
Alessandro Pellegatta