Quello che segue è il testo del volantino che abbiamo diffuso in occasione dello sciopero generale Cgil dello scorso 6 maggio. A Torino il volantino è stato diffuso assieme ai compagni de “L’Inchiesta Operaia”.
Lo sciopero di oggi misurerà la fiducia dei lavoratori nella possibilità di una risposta collettiva al padronato. È perfino inutile elencare le tappe che segnano, negli ultimi anni, il peggioramento delle condizioni e delle tutele dei lavoratori. Di ragioni per scioperare ce ne sono a migliaia ma tutte confluiscono in una: il posto di lavoro. Mantenere il posto di lavoro, ottenerne uno, passare dalla condizione di precario a quella di lavoratore a tempo indeterminato, uscire dalla palude della cassa integrazione… Lo spettro della disoccupazione e della povertà diviene sempre più minaccioso.
Le cifre parlano chiaro. Delle poche assunzioni che si fanno, i tre quarti sono contratti precari. Tra i giovani il 30% è disoccupato. Senza parlare dell’angoscia di chi giovane non è più e si trova in mezzo a una strada dopo la chiusura dell’azienda per cui lavorava. Come si può reagire a tutto questo?
C’è chi invita a guardare alla “ripresa”, alla macchina dell’economia che dovrebbe ripartire a beneficio di tutti. “Bisogna diventare più competitivi”, ci dicono. Ma mentre nei seminari e nei convegni studiano ricette e formule per questa “competitività”, nei luoghi di lavoro tutto si riduce a far lavorare di più la gente per lo stesso salario. E quando, come alla Bertone, si è posti di fronte alla scelta se continuare a vivere, come si è fatto per troppo tempo, con la miseria della cassa integrazione o avere la speranza di un salario intero, è chiaro che si scelga quest’ultimo, anche se a condizioni lavorative peggiori. E Bonanni e gli altri eroi del sindacalismo “responsabile” non hanno motivo di cantar vittoria.
La verità è che nessuno sa se, quando, e come riprenderà la produzione industriale a un ritmo tale da garantire il riassorbimento della disoccupazione, almeno ai livelli di prima della crisi. Soprattutto nessuno sa se la “macchina dell’economia” sarà in grado di dare a noi e ai nostri figli la certezza di un futuro decente.
Nel frattempo la situazione, per la maggior parte della popolazione, continua a peggiorare.
Tutti capiscono che di fronte al pericolo di un immiserimento drammatico e generalizzato ci vorrebbero misure straordinarie.
La Cgil parla di una tassa sulle grandi ricchezze. Da questa tassa potrebbero venire risorse dell’ordine di 18 miliardi di euro l’anno. Per ottenere il finanziamento di un sistema di garanzie salariali contro la disoccupazione e il precariato ci vorrebbe molto di più. Ma anche per imporre questa rivendicazione ci vuole un grado di mobilitazione che non può limitarsi a uno sciopero generale ogni qualche anno. La crisi pone il problema di scalfire i privilegi di una parte minoritaria della società per impedire che la maggioranza scivoli in una povertà e in una precarietà insopportabili. Ma queste classi privilegiate sono quei banchieri, quelli speculatori, quei grandi industriali, quei finanzieri che sono abituati a comandare da tempo immemorabile e che da tempo immemorabile hanno stabilito rapporti strettissimi non solo con i partiti parlamentari ma con gli stessi apparati di stato, in primo luogo con la grande burocrazia dei ministeri e degli enti a controllo statale.
Dunque, è vero: i soldi ci sono. Lo dimostrano i calcoli della Cgil, ma anche i dati ufficiali sui profitti delle grandi banche e su quelli di colossi come Eni ed Enel, oltre alle smargiassate di Marchionne per quanto riguarda la Fiat. Lo dimostrano le ingenti risorse che il governo Berlusconi sta destinando alla guerricciola imperialista contro la Libia.
Solo una lotta dura e generalizzata può costringere una classe di ricconi privilegiati a mollare qualche cosa delle loro ricchezze e ad abbandonare le loro costose ambizioni neo-coloniali.
Ecco perché, oltre allo sciopero di oggi, bisogna che si sviluppi un vero piano di lotte che coinvolga a più riprese tutto il mondo del lavoro.
Per il blocco dei licenziamenti, per la spartizione dei carichi di lavoro esistenti tra tutti i lavoratori, per misure economiche che garantiscano a tutti un salario dignitoso.