I no di Mirafiori

Il risultato del referendum imposto dalla Fiat: 54% SI’ – 46% NO

Alla fine quello che sembrava un risultato scontato non lo è stato per niente: non sono bastate le minacce e nemmeno le lusinghe, gli operai del Montaggio – dove le condizioni di Marchionne hanno le conseguenze più reali e concrete – hanno respinto in maggioranza l’accordo, con 1577 NO e 1385 SI’, una proporzione da 53,2 a 46,8. Praticamente la stessa percentuale, ma rovesciata, del risultato finale in tutto lo stabilimento. Ma nei reparti operai il SI’ ha vinto comunque con uno scarto di solo 9 voti, e ha fatto il pieno decisivo fra impiegati, capi e capetti: su 440 addetti, 420 SI’ e 20 NO. Ha prevalso alla grande cioè fra chi aveva tutto da guadagnare e niente da perdere; anzi, in larga misura fra chi avrà il compito di far buona guardia perché gli operai si pieghino ai vincoli previsti.

La realtà com’è davvero, senza i falsi attributi di chi ha tentato per mesi di convincere gli operai che è meglio stare peggio, ci racconta quindi un’altra storia. I lavoratori non hanno alcuna voglia di dare per scontato che, se da ora in poi vorranno lavorare, si dovranno consegnare genuflessi nelle mani del padrone, magari anche ringraziando perché continua a degnarsi di farli lavorare.

Eppure la forza del ricatto era pesantissima: lo pseudo accordo che i sindacati firmatari hanno approvato e sostenuto, conquistandosi così definitivamente la medaglia di sindacati "gialli", non era e continua a non essere nel concreto un accordo. L’unica chiarezza riguarda quello che gli operai dovranno subire, mentre sugli ipotetici investimenti non ci sono numeri, né impegni certi e definiti. Ma a un paio di giorni dalla consultazione, Marchionne ripeteva a destra e a manca che, se avessero prevalso i NO, se ne andava a investire in Canada, in Brasile o chissà dove. Prendere o lasciare. Quindi agli operai è stata chiesta una resa senza condizioni, una capitolazione senza contropartita. E mentre s’imponeva loro questo ricatto vergognoso, venivano attaccati e svillaneggiati su tutti i giornali borghesi come sfaticati, fermi con la mente agli agi e ai lussi del secolo scorso, scansafatiche incapaci di produrre ai ritmi non solo dei loro colleghi cinesi, ma anche di quelli tedeschi, francesi e quant’altro, gente all’antica, ormai non più al passo con le nuove prospettive di progresso.

Secondo le menti illuminate dei commentatori borghesi, il progresso consisterebbe nel fatto che, per mantenere a una classe privilegiata i suoi profitti e i suoi privilegi, è necessario rinunciare a quelle poche tutele e garanzie che hanno difeso i lavoratori fino a oggi. Per dimostrare questo assurdo paradigma come se si trattasse del nuovo credo universale e inoppugnabile, se ne sono sentite di tutti i colori. Lo sciocchezzario ha attraversato trasversalmente tutto l’arco costituzionale, ma ha visto come i più impegnati e volenterosi gli ex Cgil trasmigrati ai partiti di destra (come Giuliano Cazzola e il Ministro Sacconi), e ancor più i neo-liberal del PD: da nuovi adepti non hanno voluto certo sfigurare, esortando gli operai che "sono stati sempre contro i cambiamenti" (Sergio Chiamparino, sindaco di Torino) a capire che "lavorare in maniera meno dura è un diritto acquisito, ma l’Italia non può più permetterselo. Dobbiamo capirlo. E non vale solamente per Mirafiori, ma per tutti noi" (Nicola Rossi, senatore). Noi è un eufemismo che ovviamente non riguarda il Rossi, ma di sicuro tutti i lavoratori, italiani e non. Praticamente la stessa sentenza di Marchionne: "L’Italia non può più permettersi un livello di pretese che non è più proporzionale alla collocazione del paese".

E nonostante tutto, gli operai hanno avuto il coraggio di rispondere NO, come avevano fatto a giugno tanti operai di Pomigliano.

Questa decisione è un impegno che ci riguarda tutti, perché se esiste una possibilità di respingere l’attacco padronale, sta solo nella capacità di lotta e di mobilitazione della classe operaia. Se il grande capitale pretendere di esistere mettendo in concorrenza al ribasso i lavoratori, in nome di un presunto mondo cambiato, dovremo rispondere NO, questo mondo non è il nostro e non ci piace.