Le rivolte popolari e i disordini che hanno scosso il Nord Africa fino ad oggi mandano a gambe all’aria tutte le proiezioni, le analisi e le congetture che volevano l’economia già ben avviata sulla strada della ripresa. Non si tratta del "vento della democrazia", si tratta del rialzo incontrollabile dei prezzi dei generi alimentari nel corso dell’anno passato, rialzo spinto al massimo dalla speculazione internazionale. La scintilla delle sollevazioni è stata la miseria, arrivata a essere insopportabile per milioni di persone. I giochi della grande finanza hanno fatto saltare gli anelli deboli del sistema capitalistico internazionale. Gli economisti, non hanno saputo prevedere niente. Per questi "scienziati" l’economia e i mercati sono sfilze di cifre che vanno in su o in giù e la vita della gente in carne ed ossa che ci sta dietro è qualcosa di irrilevante. Ma neanche la gran parte degli specialisti di politica internazionale ha saputo prevedere. Per troppo tempo, condizionati dall’ossessione delle grandi potenze per la stabilità, cioè per il loro stabile dominio sul mondo, hanno finito per prendere i desideri per realtà eliminando le rivoluzioni, i sommovimenti popolari e le rivolte dal novero dei fattori determinanti degli assetti politici e istituzionali mondiali.
Certo, nessuno nemmeno oggi può dire come finirà la crisi tunisina, quella egiziana o quella libica, né le altre crisi che già sembrano aprirsi nel Medio Oriente. Ma se si guarda alla vita e alla storia dei popoli con gli occhi di chi vuole imparare qualche cosa, si comprende che qualche cosa è cambiato nella nostra epoca e che le masse possono di nuovo far tremare i palazzi.
Una delle prime conseguenze economiche al di qua del Mediterraneo è stata l’ulteriore aumento dei prezzi del petrolio e del gas, aumento che non mancherà di riflettersi nell’intero ingranaggio economico. C’è già chi ha tentato di stabilire un rapporto diretto tra aumento del prezzo del barile di petrolio e diminuzione del prodotto interno lordo nei vari paesi. Questo comporta, naturalmente, un ritocco in senso negativo, delle stime di crescita diffuse a inizio anno. Intanto, da subito, il prezzo dei carburanti è schizzato in alto. Il già magro potere d’acquisto dei salari subisce un’ulteriore erosione. Si aggravano le condizioni di vita di disoccupati, pensionati e, in generale, dei settori economicamente più deboli della popolazione.
Questa nuova pagina della crisi capitalista mette più drammaticamente all’ordine del giorno il problema della tutela delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione, anche in Europa, soprattutto in paesi come l’Italia, già afflitti da una crescita ancora più asfittica che altrove, da salari tra i più bassi del mondo industrializzato e dall’assenza pressoché totale di un sistema di garanzie salariali minime stabilite per legge.
L’egoismo delle classi privilegiate, trova nella corruzione e nella codardia della cosiddetta "classe politica" un punto d’appoggio indispensabile. Il protrarsi della crisi, con il ripresentarsi dell’inflazione e il perdurante allargarsi della massa dei disoccupati, spinge sempre più in basso, verso la povertà, un numero sempre maggiore di persone. Per difendere i propri profitti, banchieri, finanzieri e grandi industriali fanno di ogni gradino disceso dai lavoratori un appiglio per trasformare definitivamente il mercato del lavoro in una giungla senza regole. La politica "ufficiale" si è trasformata in uno spettacolo senza fine in cui si rincorrono in ruoli diversi gli stessi commedianti. Si può capire che le risse televisive incuriosiscano e coinvolgano tanto pubblico come si può capire il successo del teatro dei burattini nelle piazze italiane di fine ottocento, affollate di contadini nei giorni di festa. Ma, usciti dall’incanto dello spettacolo, oggi come allora, è la durezza delle condizioni sociali a dettare il copione. E le cose possono cambiare solo se si cambiano i rapporti di forza tra la classe lavoratrice e l’insieme della borghesia. Non nel teatrino dei burattini ma nella realtà dei rapporti tra le classi bisogna che i lavoratori impongano il diritto a una condizione di vita decente. Strappare agli enormi profitti accumulati dal grande capitale i mezzi economici che consentano un salario minimo legale garantito e protetto dagli aumenti dei prezzi, che consentano la proibizione dei licenziamenti e la spartizione del carico di lavoro esistente, tra i lavoratori di ogni impresa o di ogni categoria, a parità di salario ecco le parole d’ordine per rispondere alle necessità sociali più urgenti. Per imporle occorre una lotta generale e prolungata nel tempo e qualcuno, sull’altra sponda del Mediterraneo, ci ha mostrato che si può fare.