A Milano, è appena terminato il presidio per la giornata degli immigrati, il primo marzo, quando due individui aggrediscono alle spalle un giovane che stava scendendo i gradini del metrò. Nel suo comunicato a commento dell’accaduto, il gruppo "Combat" (nome che ha assunto un recente raggruppamento di circoli e gruppi comunisti di varie città), a cui appartiene l’aggredito, attribuisce la paternità dell’atto a "Lotta Comunista". Il giovane, in questione era lui stesso militante di questa organizzazione fino a pochi mesi fa e gli aggressori li conosceva bene.
Dietro a questo episodio, l’ennesimo, che è fin troppo facile condannare, c’è tutta una logica politica. Questa meriterebbe un piccolo saggio i cui capitoli spazierebbero dalla teoria alla politica, dalle tecniche di vendita alla psicologia, fino alla psichiatria.
Una cosa va ribadita da subito. "Lotta Comunista" ha una concezione camorrista dello "spazio politico". Chiunque voglia rivolgere la propria attività politica, la propria propaganda e il proprio proselitismo verso "aree" che "Lotta Comunista" considera "proprie" deve mettersi nelle condizioni di poter esercitare questo diritto.
Il ragazzo aggredito fa un lavoro di propaganda politica all’Università statale di Milano: non sia mai! Questo è il "loro" territorio! Quindi giù botte! Oppure minacce, come successe qualche anno fa a un nostro compagno a Torino.
Che poi coltivino una immagine da partito della gente per bene, fa parte del loro modo di praticare la militanza politica. Qualcuno li ha accusati di stalinismo ma forse sarebbe più appropriato accostare la loro pratica politica a certi vecchi potentati democristiani del Sud, con i loro capi più in vista ben accolti in tutti gli ambienti che rendono "rispettabili", e presenti tutte le domeniche alla messa, in giacca e cravatta, e i loro sgherri a fare il lavoro sporco, come camorristi, appunto.