La Moody’s declassa la Grecia

Il 7 marzo la Moody’s Corporation, la nota società che esegue ricerche e valutazioni finanziarie, ha declassato l’economia greca di tre punti sulla sua speciale classifica passandola da Ba1 a B1 (l’economia italiana che non sta certamente vivendo un momento felice è avanti di 11 posizioni, cioè è valutata Aa2). Il motivo di questa svalutazione, che fra l’altro non fa che aumentare la "sfiducia" dei mercati riguardo alla Grecia, è il ritardo nell’applicazione e l’insufficienza delle "riforme" promesse dal governo per "salvare" l’economia del paese. Secondo la Moody’s se il governo non agirà tempestivamente il paese potrebbe non essere in grado dal 2013 di onorare i debiti contratti a livello internazionale.

Ma la crisi si misura più concretamente su altri aspetti piuttosto che con le classifiche della Moody’s.

La disoccupazione sta galoppando ad una velocità impressionante, siamo passati dal 7,7% del 2008, al 9,8% dell’ottobre 2009, nel 2010 il tasso di disoccupazione era del 12,6% in settembre, del 13,5% in ottobre, del 13,9% in novembre. Questa crescita impressionate pare inarrestabile e i giornali parlano di un incubo che si può concretizzare, quest’incubo è un tasso di disoccupazione al 22% alla fine di quest’anno. I più colpiti sono i lavoratori meno qualificati e meno garantiti molti dei quali sono immigrati. Non è dato di sapere il tasso di disoccupazione fra i lavoratori immigrati regolari, ma è sicuramente più alto di quello dei lavori greci, non fosse per altro che una parte dei lavoratori greci, addetti al pubblico impiego, almeno per ora non hanno vissuto "l’esperienza del licenziamento", hanno vissuto solo "l’esperienza" di un taglio del 30% del salario e non sarà l’ultimo.

Per quanto riguarda gli immigrati clandestini, che sono centinaia e centinaia di migliaia forse di più, le stime sono difficili, non si tratta nemmeno di una questione di lavoro o disoccupazione, si tratta di sopravvivenza pura.

In questa situazione sempre più pesante (il PIL nel 2010 è arretrato del 6,6%), il governo socialista da una parte lancia ipocriti e surreali messaggi di "ottimismo" del tipo "stiamo già vedendo la luce in fondo al tunnel", dall’altra si prepara a ulteriori misure restrittive sui salari, ha aumentato del 40% i prezzi dei trasporti pubblici, e come contentino, in un paese in cui l’evasione fiscale è un privilegio incontestabile per padroni padroncini e professionisti vari, ha varato una legge demagogica che punisce fino a vent’anni di carcere gli evasori, una legge che già tutti sanno che rimarrà sulla carta e non avrà nessun effetto.

Ogni misura impopolare è spacciata dal governo come un atto voluto dalla "dittatura della troika" (cioè il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea e l’Unione Europea) che ha imposto misure draconiane per garantirsi il rientro del prestito contratto, lo scorso anno, dal governo greco per non andare in fallimento. Il tentativo del governo Papandreou è di costruirsi un consenso popolare su posizioni nazionaliste in opposizione agli "strozzini" del popolo greco (FMI, BCE, UE). Come se la borghesia greca non fosse parte attiva di quest’opera di strozzinaggio, come se il suo governo non fosse parte di questi tre organismi internazionali e non fosse seduto con gli altri stati, grandi e piccoli, al banchetto capitalista.

Questo "scaricabarile" che vede in primo luogo la Germania come affamatrice della Grecia, viene anche alimentato sulla televisione pubblica con trasmissioni che hanno come tema la politica di Angela Merkel contro la Grecia. Inoltre si rivendica, almeno nei servizi TV, la restituzione del denaro sborsato durante la seconda guerra mondiale per mantenere le truppe di occupazione italo-tedesche. Allora un accordo fra le potenze dell’Asse e il governo fantoccio della Grecia occupata prevedeva la restituzione delle spese a guerra finita, cosa che non è mai avvenuta. Tra i promotori di questa campagna, che ha chiaramente un valore solo propagandistico, vi è l’ottantanovenne eroe della resistenza Manolìs Glèzos, membro ed ex deputato della formazione della sinistra riformista SYRIZA. Come sempre l’opportunismo, invece di chiamare i lavoratori alla solidarietà con i lavoratori degli altri paesi, difende gli interessi della propria borghesia contro le borghesie concorrenti anche se più forti e aggressive come quella tedesca.

La società, i lavoratori, come abbiamo già riportato in precedenti articoli, non accettano passivamente questa situazione, in quindici mesi ci sono stati otto scioperi generali, l’ultimo lo scorso 23 febbraio, e una miriade di scioperi settoriali, la reazione, vivace in molti settori a cominciare dai trasporti, sta ora coinvolgendo per la prima volta anche parte dei lavoratori del commercio, appoggiati, certo con altri fini, anche dai loro stessi datori di lavoro che vedono migliaia di attività commerciali ingoiate nella fornace della crisi. Contro l’aumento indiscriminato delle tariffe autostradali e del numero dei caselli sulle autostrade, da alcuni mesi centinaia e centinaia di lavoratori che si sono organizzati nei comitati "Den Plironoume" (Non Paghiamo) occupano i caselli e impediscono che sia fatto pagare il pedaggio agli automobilisti in transito. Sul fronte dell’immigrazione continua da fine gennaio ad Atene e a Salonicco lo sciopero della fame di circa 300 lavoratori immigrati provengono da Creta dove avevano lavorato come schiavi nell’agricoltura e chiedono di essere regolarizzati. Molti di loro sono ormai allo stremo e sono stati ricoverati in ospedale, dove continuano la loro protesta.

La crisi sembra quindi aver intensificato le proteste e ala vivacità sociale dei lavoratori, dei disoccupati, degli immigrati, ma un coinvolgimento più complessivo è ancora da venire come pure un collegamento permanente e organizzato con gli altri lavoratori europei, unico modo per opporsi con possibilità di successo sulle quattro teste (il governo greco, il FMI, la BCE, l’UE) dell’Idra borghese, che ha dichiarato una guerra senza quartiere ai lavoratori greci.

Corrispondenza da Atene