14 Novembre, ancora la Cgil in piazza - Servono obiettivi concreti e una linea senza incertezze

Il meccanismo è ancora funzionante, le strutture hanno ancora energie da spendere, ci sarebbe ancora un peso notevole da utilizzare per contare nella dinamica sociale. Ancora una volta la Cgil prova a saggiare le sue forze, e ancora una volta scopre che – nonostante le fabbriche che chiudono, lo scoraggiamento, le delusioni molteplici, e nonostante anche qualche crepa nell’organizzazione – ci sarebbe ancora un buon serbatoio di forze disponibili. Fossero 30.000 o 200.000, in Piazza del Popolo il colpo d’occhio era comunque più che dignitoso. Tanta gente, bandiere, striscioni, anche se pochi slogan e soprattutto molta insicurezza.

“Non voleva essere una manifestazione oceanica”, ha dichiarato il segretario generale Guglielmo Epifani in una recente trasmissione televisiva, ma il tentativo di portare in piazza “i volti della crisi”. I volti della crisi in piazza continuano ad andarci, anche se magari vorrebbero sapere con più chiarezza con quali obiettivi. E’ vero che il tema della manifestazione era “Esigiamo le risposte”, ma le risposte arrivano solo se le domande si fanno concrete e pressanti. La manifestazione – quella sì, abbastanza oceanica – del 4 aprile scorso, si era conclusa con un discorso finale dello stesso Epifani che aveva lasciato la netta sensazione della montagna che partorisce il topolino: non si portano in piazza centinaia di migliaia di persone solo per chiedere un tavolo di confronto con il Governo e per lanciare un ponte verso Cisl e Uil, che avevano appena sottoscritto una vergognosa riforma del modello contrattuale. Tanto più che il Governo non si è nemmeno curato di rispondere e ha tirato dritto per la sua strada, e i sindacati “gialli” se ne infischiano dei ponti con la Cgil.

Nel frattempo le fabbriche continuano a chiudere, e i lavoratori continuano ad avere la percezione di trovarsi soli di fronte a una situazione che non sanno come fronteggiare, e che questa “solitudine” dipenda essenzialmente dalla loro scarsa visibilità mediatica; di qui le forme di lotta più fantasiose ed eclatanti, i messaggi e i gruppi di discussione su internet, etc. Tutto questo può essere fatto, in alcuni casi deve essere fatto. Ma è fuorviante pensare che basti stare sotto i riflettori perché ogni singola vicenda volga magicamente a buon fine, e soprattutto pensare che in questo modo si possa eludere il nodo dei rapporti di forza reali, dimenticare la possibilità di unire energie e vertenze di lotta.

Che il Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria, abbia constatato una diminuzione delle ore di sciopero del 71% nel primo semestre 2009 rispetto allo stesso del 2008, può sembrare ad esempio una notizia con scarsa visibilità mediatica, ma sicuramente per Confindustria conta, eccome. E’ vero che con la crisi e tante fabbriche chiuse semplicemente molti scioperi non sono realizzabili, ma il dato è comunque importante, anche perché è il 71% in meno di quasi niente.

La Cgil stessa non fa molto per riportare la discussione con i piedi per terra: una direzione ondivaga e confusa crea le condizioni per uno sbandamento generale, che non riesce a concentrare le forze dove ce ne sarebbe bisogno. Basti ricordare le condizioni con cui si stanno rinnovando i contratti: nonostante il rifiuto di firmare l’accordo sulla riforma e i proclami ufficiali di condanna, i contratti veri e propri si stanno firmando nelle varie categorie, alla spicciolata e alla chetichella, con la durata che prevede la riforma, cioè tre anni invece di due, e senza nessuna garanzia di recupero del potere d’acquisto in questo periodo di tempo. Tutti, tranne finora quello dei metalmeccanici.

C’è bisogno di un chiarimento, e sicuramente anche di una discussione vera con i lavoratori. Il prossimo congresso della Cgil potrebbe offrire almeno un’occasione. Purché non si risolva semplicemente in una resa dei conti tra gruppi dirigenti, e in un andazzo futuro che non cambia.