La gran quantità di fabbriche chiuse o di cui si minaccia la chiusura o il forte ridimensionamento ha visto, come è naturale che sia, la risposta collettiva dei lavoratori con lotte locali di vario tipo. Per parte nostra insistiamo soprattutto sul fatto che le lotte dovrebbero trovare un modo comune di esprimersi e di organizzarsi, che si dovrebbe superare il localismo, l’aziendalismo, ecc. . In ogni caso stiamo con i lavoratori. Anche quando le circostanze concrete non consentono di allargare il fronte della lotta, anche quando tutta la partita viene giocata nel rapporto tra rappresentanze sindacali, istituzioni locali e regionali, ministero del Lavoro, direzioni aziendali. In ogni situazione c’è sempre qualche cosa da dire e da fare. Anche in quelle che non vanno come noi vorremmo; e sono la maggioranza.
E qualche cosa da dire, a proposito delle forme di lotta, ce l’abbiamo. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati i casi di protesta eclatanti. Scioperi della fame, operai sui tetti dei capannoni, legati con le catene ai cancelli delle fabbriche, accampati su gru e carri-ponte. In ognuno di questi casi c’è la convinzione, dettata dall’urgenza di mantenere il posto di lavoro, che bisogna far parlare del proprio caso. Accanto a questa convinzione, di per sé non condannabile, si sviluppa quasi sempre l’illusione che si avrà tanta più probabilità di successo quanto più il nostro caso, riguardante la nostra azienda, sarà visto come un fatto a sé, come un episodio con le sue specifiche caratteristiche e con una problematica unica e speciale. L’opinione pubblica dovrebbe appoggiare senz’altro le nostre specifiche richieste e condividere le nostre particolari ragioni perché si differenziano da tutte le altre. Andando avanti con questa logica si finisce spesso per non considerare desiderabile l’unità con i lavoratori di altre aziende che fronteggiano problemi simili. Si preferisce credere che il cerchio di chi simpatizza, solidarizza, o appoggia proprio noi debba essere composto in primo luogo da “quelli che contano”: giornali, televisioni, istituzioni, partiti, diocesi, ecc. e si guarda quasi infastiditi alle richieste di un minimo di azione comune da parte di lavoratori di altre imprese.
Facciamo parlare di noi, rendiamo unica, fantasiosa, spettacolare il più possibile la nostra protesta, molti oggi ragionano così. In virtù di un meccanismo che in realtà non esiste, la spettacolarizzazione, attirando i mass-media, dovrebbe commuovere l’opinione pubblica e questa, non si sa grazie a quale alchimia, dovrebbe poi orientare le scelte delle varie istituzioni per una soluzione favorevole ai lavoratori. Purtroppo, l’esperienza ci dice che non va quasi mai così. In ognuna di queste vertenze, ripetiamolo, siamo convinti che sia giusto essere in ogni caso al fianco dei lavoratori e sostenere la loro lotta.
Non si tratta di essere contro per principio alle diverse forme di protesta. Si tratta di dare loro il giusto peso. Nel corso di questa crisi non si è ancora visto, neanche in una sola città, l’organizzazione di una lotta e di una vertenza unitaria a tutela dei lavoratori licenziati o in pericolo di licenziamento a causa della chiusura degli impianti industriali. Se una cosa del genere si verificasse, se i lavoratori delle varie aziende interessate fossero in grado di imporre una trattativa, anche solo locale, sulla salvaguardia del loro reddito, questo avrebbe una ripercussione mille volte più importante e soprattutto più utile per tutti delle più stravaganti forme di protesta che si possano immaginare.
R.P.