La bisca Italia: Win for life, la tombola della pensione

Nel dopoguerra, quando le immense distruzioni e l’impellenza della ricostruzione garantivano ai capitalisti un mercato immenso ed elevatissimi profitti, si cominciò a propagandare anche in Italia l’ideologia del welfare. Nella versione laburista, era condensata nel motto “Dalla culla alla tomba”. Lavora, si diceva, non pensare alla lotta di classe, noi ti faremo acquistare una casa, ti daremo l’assicurazione malattie e una pensione per una serena vecchiaia. Il lavoratore in pensione non poteva permettersi granché, qualche partita alle bocce, qualche viaggetto (tipo gita delle pentole), ma almeno evitava di morir di fame. Molti erano esclusi persino da questa apparenza di benessere, ma i governi promettevano di risolvere anche i loro problemi. Si sa che le promesse non costano niente (salvo, forse, la reputazione).

Negli ultimi decenni, c’è stata una metodica distruzione della protezione sociale, soprattutto per i lavoratori più giovani. La diffusione del precariato ne ha fatto un fenomeno di massa. Gli studenti, un tempo privilegiati, hanno un bel cumulare diplomi, lauree, master, dottorati di ricerca. Se non sono raccomandati, possono sperare solo in un lavoro precario. Per il capitale è sempre più indifferente la formazione professionale – trovano facilmente tecnici e operai specializzati venuti dall’ Europa dell’est. I ministri della pubblica istruzione, e non solo la Gelmini, hanno trasformato molti ricercatori in disperati cercatori di posti di lavoro, in fuga verso l’estero. Il tranquillo statale di un tempo è sostituito da un impiegato tormentato da inquisitori alla Brunetta, la versione moderna delle Erinni.

L’incertezza è una costante del capitalismo, che deve continuamente mutare i mezzi di produzione, i modi di affrontare il mercato, i metodi di sfruttamento dei lavoratori, ma nel periodo del capitalismo putrescente questi problemi si moltiplicano all’infinito. Il sistema ci sta togliendo tutto quello che le lotte delle generazioni precedenti l’avevano costretto a concedere.

Il capitalismo, meno concede, più illusioni semina, del tipo “campo dei miracoli” di Pinocchio. Nei periodi di boom, lancia speranze di facili ricchezze, attraverso l’acquisto di azioni e obbligazioni. Ci cascarono anche piccoli commercianti, e pensionati che volevano salvare la liquidazione, con i vari bond argentini, Parmalat, Cirio, Lehman, che - le banche spergiuravano –erano sicurissimi. Il campo dei miracoli, però, fece sparire gli zecchini e persino gli spiccioli.

Con la crisi e la disoccupazione, le vie sono soprattutto due: o ci si volge verso la lotta di classe, oppure ci si affida all’irrazionale. E, in quest’ultimo caso, c’è sempre chi ci specula. Il gioco è uno di queste trappole. Oggi non basta più il gratta e vinci (dove chi gratta, in un altra accezione del termine, e vince è sempre il banco).

Il welfare è morto, ma si ripresenta in forma di fantasma. Il nuovo gioco, “Win for life” sostiene di assicurare ai fortunati ciò che un tempo si prometteva a tutti, e si concedeva a pochi, l’assistenza sociale per la vita. Non più come un risultato collettivo ottenuto attraverso la lotta, o una graziosa concessione del governo, ma come un miracolo per l’individuo, del tutto in conformità con la Corte dei miracoli che è l’Italia di Berlusconi. D’altra parte, se sentiamo le voci ufficiali, miracolo sarebbe la presunta uscita anticipata dalla crisi, miracolo le case di legno date a pochi “favoriti dalla sorte” all’Aquila. Miracoli del miglior politico dai tempi di Tarquinio il Superbo, che è appoggiato dal 130% degli italiani.

Ora, ci propongono, non resta che rivolgersi ai santi, (Gennaro, Petronio, Ambrogio, Rosalia, Pio... ne abbiamo tanti). C’è chi si rivolge alla bisnonna, prima dimenticata, per avere in sogno i numeri. Non è una cosa nuova. Nell’ottocento, si illudevano le plebi affamate col lotto. Ma c’erano intellettuali aperti e coraggiosi che ben sapevano mettere alla berlina questa usanza.

In una poesia del 1838, “Apologia del lotto” Giuseppe Giusti vide già molti aspetti del gioco. Don Lucca, un galantuomo che condanna il lotto, è un ingenuo : “... è troppo esaltato/ e crede che tocchi/ai preti aprir gli occhi/al mondo gabbato...”. Non vede che anche la chiesa lo propaganda, e poi lo stato “Se fosse nocivo/l’avrebbe vietato”. Il gioco “ci avvezza indovini” “divaga la fame”. “La pappa condita/ con gli ambi sognati/ sostenta la vita /di mille affamati...” “Il capo del gregge /ci vuole un gran bene/i mali, i bisogni/ degli asini vede/ e al fieno provvede/ col libro dei sogni”. 1838: quanti progressi tecnici si sono fatti da allora, ma quanti regressi dei nostri intellettuali, ossequenti verso lo stato e genuflessi di fronte alla chiesa, soprattutto quelli che si proclamano laici.

Ma il lotto era niente rispetto a ciò che lo sviluppo del capitalismo apportava. Napoleone III fece fare una lotteria, il cui ricavato, ufficialmente, doveva servire per inviare i vagabondi di Parigi in California. Sette milioni di biglietti a un franco l’uno. “Da un lato si voleva che dei sogni dorati cacciassero i sogni socialisti dal proletariato di Parigi” – dice Marx, ne “Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte”. “In sostanza si trattava di una vera e propria truffa. I vagabondi che volevano scoprire le miniere d’oro della California senza muoversi da Parigi erano Bonaparte stesso e i suoi cavalieri della tavola rotonda rovinati dai debiti... Bonaparte e consorti non si limitarono a intascare in parte la differenza tra i sette milioni e le verghe d’oro messe in lotteria; ma fabbricarono pure biglietti falsi; emisero per un sol numero dieci, quindici, e sino a venti biglietti”. Naturalmente, “quando egli parla ufficialmente dell’ordine, della religione, della famiglia, della proprietà davanti a un pubblico borghese, e ha dietro di sé la società segreta degli Schufterle e degli Spiegelberg, la società del disordine, della prostituzione e del furto, allora egli è Bonaparte in persona, originale”. (Schufterle e Spiegelberg sono personaggi dei masnadieri di Schiller).

Anche nell’Italia odierna si parla tanto dell’ordine – la sicurezza xenofobica, le ronde, ecc. – della religione (si giunge a inseguire il pontefice sulla scaletta dell’aereo), della famiglia e della proprietà, ma abbiamo una borghesia che, volte le spalle alla produzione, intrallazza con i politici di destra e di sinistra, ottenendo appalti, incentivi a fondo perduto, leggi contro i lavoratori. Senza il minimo scrupolo, c’è chi è arrivato persino a fare installare per lucro, nel corpo di ignari pazienti, protesi non necessarie, anzi dannose.

E’ il capitalismo, bellezza! E‘ la società dei masnadieri su scala industriale.

Se non ci sarà un rude intervento proletario, queste storie dureranno a lungo.

Michele Basso

2 ottobre 2009

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