I ministri delle Finanze dei venti paesi più ricchi erano riuniti a Londra i 4 e 5 settembre, tre settimane prima del “vero” G20 che riunirà i capi di Stato a Pittsburgh, negli Stati-Uniti.
Al programma della discussione c’erano : le banche e i bonus dei trader e banchieri, le regole sulle esigenze rispetto ai fondi propri e gli aiuti degli Stati nell’ambito dei piani di “rilancio”. Il teatrino è ben oleato : la proposta del duetto franco tedesco di limitare i bonus, di cui “l’ammontare scandalizza l’opinione pubblica” secondo la ministra francese Christine Lagarde, ha ricevuto solo un sostegno a fior di labbra della Gran Bretagna, senza che si parli di fissare un limite massimo, ciò che gli stati Uniti rifiutano. Per il segretario di Stato americano Timothy Geithner, che probabilmente ha in memoria lo scatenarsi della crisi bancaria un anno fa negli Stati Uniti, l’importante era il consolidamento delle banche con il rialzo delle esigenze di fondi propri, un’idea che non piace più di tanto ai ministri europei –non proprio in grado di imporre qualunque cosa alle grandi banche- e una maggiore proporzione di titoli “sani”, cosa che nessuno ha osato contestare.
Tutti ovviamente si sono trovati d’accordo per proseguire il sostegno ai capitalisti di fronte alla crisi che, constatano prudentemente, è ben lungi dall’essere finita. Infatti “bisogna prepararsi accutratamente a ritirare a tempo debito le misure di rilancio istituite per un ammontare stimato a 5000 miliardi di dollari, ma certamente non è ancora il caso di farlo”. Così i banchieri e il padronato si possono tranquillizzare.
Si è anche parlato di aggiungere 500 miliardi di dollari alle disponibilità del Fondo Monetario Internazionale, in modo che possa intervenire nei paesi in difficoltà –al suo modo, costringendo i dirigenti dei paesi “aiutati” a fare sopportare duramente le conseguenze alla popolazione. In quanto a riesaminare il peso rispettivo di ciascuno in seno al FMI, in cui la Cina per esempio con meno di 4% dei voti non conta più del Belgio, gli europei che ne detengono il 30% non lo vogliono mentre gli Stati-Uniti con il 17% dei voti, ci sono pronti.
E i paradisi fiscali che non vogliono cooperare? Ci si dà una scadenza di sei mesi e dopo, attenzione alle sanzioni... per i paesi che rifiuteranno di adeguarsi alle norme fissate, come hanno fatto subito sei paesi sui trentotto indicati, mentre altri si preparano a firmare gli accordi... che non vincolano i banchieri.
Tra l’altro questi ultimi, riunitisi il 6 settembre a Basilea, si sono dichiarati del tutto soddisfatti. E ci mancherebbe.
V.L.