Religione e scuola pubblica - La guerra di logoramento delle gerarchie vaticane.

La Chiesa non molla. Almeno non molla facilmente. Per anni, dopo l’Unità d’Italia, che subì come un oltraggio alla propria autorità politica e morale, oltre che ai propri possedimenti terrieri, foraggiò il brigantaggio meridionale, una guerriglia permanente tesa a sfiancare e screditare l’autorità del giovane stato italiano. La “pace” ufficiale e definitiva fra Stato e Chiesa furono i “patti lateranensi” , sottoscritti dal governo Mussolini e dal cardinale Gasparri a nome di Papa Pio XI. I “patti”, inglobati poi, pari, pari nella Costituzione, stabilivano, tra l’altro, che il cattolicesimo era riconosciuto come “religione di stato” il cui insegnamento nelle scuole pubbliche era obbligatorio. Quest’ultimo punto fu rimesso in discussione dal nuovo concordato stabilito nel 1984 sotto il governo Craxi.

Ma non ci sono posizioni da cui la Chiesa accetti definitivamente di farsi scalzare se esiste anche un minimo punto di appoggio per riconquistare le vecchie posizioni. Così, per anni, esponenti del mondo cattolico più legati alla scuola, come le associazioni dei genitori cattolici o quelle degli insegnanti, hanno protestato, intentato cause, ecc. contro le attività alternative all’ora di religione organizzate da dirigenti scolastici e insegnanti in molte scuole italiane. Tanto più la “materia alternativa” risultava interessante, tanto più si levavano alti gli strilli dei cattolici militanti. Si argomentava che non si potevano offrire agli alunni e agli studenti che avevano scelto di non frequentare l’ora di religione, degli elementi di conoscenza e di istruzione che sarebbero stati utili anche agli altri. In questo modo, si sosteneva, si discriminano proprio i ragazzi che fanno religione. Spesso sono riusciti a spuntarla.

Ora si va più in là. Si sostiene, a quanto pare con il pieno sostegno del ministro Gelmini, che nell’ora di religione si deve insegnare la religione cattolica, avendo cura di non metterla sullo stesso piano di tutte le altre. Si sostiene inoltre che l’insegnante di religione debba, al pari degli altri, attribuire all’allievo un voto numerico e che questo concorra a formare il giudizio complessivo da parte del corpo insegnante. In una nota vaticana uscita a maggio si ribadivano proprio questi concetti.

Nel corso dell’estate una sentenza del Tar del Lazio, che negava agli insegnanti di religione la partecipazione agli scrutini, ha riacceso la polemica. Il presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica commentava: “La sentenza è il sintomo del più bieco e negativo risvolto dell’illuminismo”.

Probabilmente, dopo lo scandalo che ha coinvolto l’ex direttore del quotidiano dei vescovi, Avvenire, costringendolo alle dimissioni, si è aperto un ulteriore spazio alle pretese del Vaticano. Quindi, in altre parole, può essere che ci sia una maggiore disponibilità da parte del governo per “riparare” in qualche modo alla campagna scandalistica contro il direttore di Avvenire, scatenata dal Giornale di proprietà Berlusconi. Oppure, più in armonia con il modo pretesco di far politica, il direttore del Giornale ha semplicemente reso un servizio a una resa di conti tutta interna al Vaticano.

Sia come sia, è proprio sul Giornale di Feltri che si leggono i più accesi articoli di sostegno alla “cultura cattolica” come parte di una identità nazionale che dovrebbe essere trasmessa fin dalla più tenera età.

Può darsi che, in un modo o nell’altro, la Chiesa vinca questa battaglia. Del resto l’iniziativa del clero non si limita all’Italia ma si estende agli altri paesi europei. In Vaticano non si è mai digerito che nella cosiddetta Costituzione dell’Unione europea non sia entrato il concetto di “radici cristiane d’Europa”. Ma quello che esce dalla porta può benissimo rientrare dalla finestra.

RP