Opposizione sociale e partito operaio

La crisi esaspera le contraddizioni economiche. In un certo senso svela di che cosa è fatta, di quali parti si compone, una “comunità nazionale” di cui in altri momenti si nascondono più facilmente gli interessi contrastanti. Oggi parlare di opposizione ha un senso solo se si parte dalla consapevolezza di interessi fondamentali contrapposti sul piano dei rapporti sociali. Il governo Berlusconi rappresenta una formula attraverso la quale la grande borghesia fa quadrato attorno ai propri privilegi, privilegi che vede (giustamente) in pericolo nel caso di una ripresa generalizzata delle lotte operaie. Alla grande maggioranza dei lavoratori, oggi, interessa la sicurezza del posto di lavoro e la garanzia del salario. Se si scorrono le cronache delle lotte di questi giorni ci si accorge che, gratta, gratta, tutte hanno questo denominatore comune. Dunque l’opposizione che interessa ai lavoratori è l’opposizione al blocco di interessi sociali che impedisce il raggiungimento di questi sacrosanti obiettivi.

Che cosa c’entra la necessità di una dura, convinta e organizzata opposizione sociale al governo, e alle classi privilegiate che rappresenta, con i colpi di fioretto che il PD ha scambiato negli ultimi tempi con Berlusconi e soci? Niente. Meno ancora c’entra l’atteggiamento furbesco di esponenti del PD e di giornali di area centrosinistra teso ad accreditare Gianfranco Fini come volto nuovo, colto - qualcuno ha scritto perfino “elegante”- ed “europeo” della destra .

Invitato ed applauditissimo alla festa nazionale del PD, si è attirato l’ira del Cavaliere che gli ha attizzato contro i suoi più fedeli pennivendoli. Se ci saranno altri sviluppi o tutto finirà a tarallucci e vino, come ha vaticinato un cronista del “Tempo”, nessuno può dirlo. Una cosa certa è che questi giochetti avranno la capacità di stregare i politici di professione del PD e i vari giornalisti di “sinistra”, ma per la classe lavoratrice non rappresentano un bel niente.

Nella rivista della fondazione “Farefuturo”, voluta da Fini per fiancheggiarlo nella sua battaglia per un’identità un po’ meno becera e un po’ più presentabile del centrodestra, si insiste sulla necessità di ricollegarsi alle origini risorgimentali della destra italiana. Alessandro Campi, che dirige la Fondazione, denuncia la mancanza di grandi orizzonti nella politica italiana e nei suoi protagonisti più forti. Intervistato dal “Sole 24 Ore” del 9 settembre, si spinge a rimpiangere i vecchi partiti, quelli della cosiddetta “prima repubblica”, perché “al di là degli aspetti negativi, tipo clientelismo, erano anche scuole ideali, favorivano il dibattito, permettevano alle idee di circolare e la dimensione contingente si inseriva in un orizzonte di lungo periodo”. Perché ci soffermiamo su questo? Perché quella di Campi non è una posizione isolata. Riflette il pensiero di molti dirigenti politici di tutti e due gli schieramenti principali. Si sono accorti che finiti i festeggiamenti per la “fine delle ideologie” non è rimasto loro nemmeno lo straccio di un’idea.

Centrodestra e centrosinistra si contendono la rappresentanza del capitalismo italiano. I loro esponenti hanno abbandonato, con i partiti da cui molti di loro provengono, ogni residuo riferimento a grandi traguardi storici e a cambiamenti epocali. Ma non è vero che le ideologie sono finite. C’è un’ideologia imperante che è quella del capitale. Quella che pretende di fissare, una volta per tutte, i limiti dello sviluppo sociale nella cornice sempre più stretta dei rapporti capitalistici.

Ritorniamo al tema dell’opposizione sociale. Come si può concretizzare questa opposizione? Nell’unione dei vari settori del mondo del lavoro in lotta. Nella definizione di pochi obiettivi generali che rispondano alle esigenze primarie di tutti i lavoratori. È chiaro che per il fatto che questi obiettivi interessano una classe sociale di milioni di persone e per il fatto che si contrappongono all’insieme delle classi più ricche, il confronto passa dal terreno puramente economico a quello politico. La crisi rende evidente la contrapposizione degli interessi di classe, questa a sua volta mette in evidenza il tipo di politica di opposizione che occorrerebbe sviluppare e le sue connotazioni sociali. Ma una volta riconosciuta la necessità di una politica basata sugli interessi generali della classe lavoratrice, resta da vedere quali siano i mezzi per portarla avanti.

Lo strumento fondamentale per dare continuità e prospettive alle lotte dei lavoratori è un partito dei lavoratori. Un partito che abbia come stella polare gli interessi di questa classe sociale. Un partito che abbia una visione chiara e realistica dei rapporti sociali e che abbia gli strumenti per saper valutare con metodo scientifico il campo delle forze in cui sviluppa la propria azione. E per quanto la cosa possa mandare in bestia i vari esponenti del mondo politico ufficiale, i vari intellettuali “rispettabili”, i sociologi e gli economisti più alla moda, il marxismo, cioè il socialismo scientifico, è l’unica corrente del pensiero moderno capace di fornire alle speranze e ai bisogni degli sfruttati tanto una solida base scientifica per comprendere la realtà, quanto quegli orizzonti di lungo periodo che mancano ai sostenitori del capitalismo.

I partiti e gli uomini che difendono l’ordine capitalistico piangono la mancanza di ideali con i quali entusiasmare i giovani rampolli della borghesia e i futuri quadri degli apparati di stato. Lasciamo che cerchino tra le anticaglie clericali o tra le vecchie bandiere del Risorgimento. Noi sappiamo che le idee del comunismo torneranno, prima o poi, a orientare il pensiero e l’azione dei lavoratori. un partito operaio, per l’appunto, è questo.