Nessuna certezza per il futuro

Cresce la disoccupazione in tutta Europa. In Italia con l’aggravante di retribuzioni che non reggono l’aumento del costo della vita e di un milione settecentomila lavoratori senza nessuna rete di protezione: precari, apprendisti, co.co.pro., per anni vittime di profitti sfacciati e oggi i primi a pagare la crisi.

Il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha trovato motivo di consolazione anche nei dati più allarmanti usciti di recente sul tasso di disoccupazione in Italia: secondo l’agenzia giornalistica Reuters, ha dichiarato che tutto sommato non c’è di che preoccuparsi. Sarà perché la media percentuale italiana è perfettamente in linea con la media europea. In Europa nei primi 3 mesi dell’anno sono andati persi globalmente 1.916.000 posti di lavoro, e di questi 1.220.000 nei 16 Paesi della zona Euro, con una media generale dello 0,8%. In Italia la flessione si aggira appunto intorno allo 0,8%, e raggiunge un tasso del 7,9%, il dato peggiore dal primo trimestre 1995, anno in cui sono state effettuate per la prima volta queste rilevazioni.

“Registrare il 7,9% è triste per chi ha perso il lavoro, ma è una consolazione se ci confrontiamo con gli altri Paesi e con la nostra storia passata, fino a pochi anni fa il tasso di disoccupazione in Italia era superiore al 12%”, così commenta l’ineffabile Ministro Sacconi.

Sicuramente chi perde il lavoro non può consolarsi con il tonfo della Spagna (- 6,4%), né con l’1,6% in meno del Portogallo o l’1,1% in meno della Gran Bretagna. Ma nemmeno con i tempi della disoccupazione al 12%. Era superiore al 12% quando nei numeri degli occupati non si annoverava l’infinita serie dei lavori “atipici” in cui si esprime il lavoro oggi: a tempo, a ore, a mesi, a progetto, senza prospettiva e senza futuro, senza tutele e senza protezione, ma in compenso pagati meno di un normale lavoro a tempo indeterminato ed estremamente convenienti per le imprese. Negli anni della disoccupazione al 12%, non poteva bastare un mese di lavoro all’anno per essere definiti “occupati”, ci voleva un lavoro vero. Secondo quanto ha dichiarato a fine maggio scorso il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, per oltre 2.000.000 di lavoratori temporanei il contratto giunge a termine nel corso di quest’anno: quasi il 20% nel settore pubblico, il 40% nei servizi privati; il peggio quindi ha da venire, e riguarda lavoratori nella maggior parte dei casi giovani, che non hanno mai sperimentato un lavoro sicuro, e ai quali non spettano tutele. In caso di licenziamento infatti, ben 1 milione settecentomila lavoratori, sempre secondo la Banca d’Italia, non hanno diritto ad alcuna copertura o indennità. Sono gli stessi lavoratori che hanno sofferto le condizioni di vita che più si avvicinano ai livelli di indigenza, dato che il 47% delle famiglie nelle quali sono presenti solo lavoratori “atipici” risulta povera.

Il terreno che negli anni il lavoro ha lasciato al capitale, concedendo margini sempre più alti di precarietà, non poteva che generare risultati aberranti. Se la disoccupazione dilaga e le imprese intendono far pagare ai lavoratori i costi della crisi, la Commissione Europea mette già le mani avanti: si parla di una futura crescita senza occupazione, simile in questo allo sviluppo economico europeo per tutti gli anni ’90.

Era una precisazione non necessaria. Nessuna ripresa, nessuna crescita, nessun boom economico mette i lavoratori al riparo dallo sfruttamento e dalla disoccupazione. Non bisogna illudersi che succederà stavolta. Conterà solo quello che i lavoratori saranno riusciti a strappare con le loro lotte e le mobilitazioni in difesa dei posti di lavoro.