La notte tra il 29 e il 30 giugno sarà ricordata per molto tempo dagli abitanti di Viareggio. Sarà ricordata come si ricordano i terremoti o come, per chi ha vissuto quei tempi, i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Alle 23,48 uno dei carri di un treno merci che percorre i binari della stazione a 90 chilometri l’ora (dieci meno del previsto ), svia dai binari. I macchinisti se ne accorgono e azionano la frenatura rapida. Il treno si “spezza” all’altezza della locomotiva che prosegue per poche centinaia di metri. Il carro si inclina e ne trascina altri quattro fuori dai binari. Sono carri cisterna che portano GPL. Da uno di questi esce il gas compresso che si trasforma in una mostruosa macchina di morte. Tutta la zona vicina diventa un inferno di fuoco. Abitazioni, automobili, passanti, sono avvolti dalle fiamme. L’incendio si alza per centinaia di metri e si scorge da grande distanza. Il bilancio della tragedia è di più di venti morti e decine di feriti di cui dieci gravissimi. Tra i morti ci sono sei bambini.
Qual è la causa di questo disastro? Il comunicato del gruppo FS parla di rottura di un asse di un carrello del carro che per primo è uscito dai binari. Dice anche che il carro in questione non è di sua proprietà, tanto per iniziare lo scaricabarile che proseguirà nei giorni successivi. Ma nel comunicato aziendale c’è già una parte della risposta che i ferrovieri conoscono bene. La privatizzazione e lo spezzettamento del sistema ferroviario, già in fase avanzata, produce una moltitudine di centri decisionali e operativi ognuno dei quali risponde a proprie logiche aziendali indebolendo il carattere unitario dell’organizzazione del trasporto su rotaia. Su ognuno di questi centri, in vario modo e con gradi diversi, preme la logica del risparmio delle risorse impiegate, del massimo profitto raggiungibile, del raggiungimento di indicatori di produttività reali o campati in aria che siano. Così, giorno dopo giorno, la grande macchina del trasporto ferroviario, che nel corso dei decenni aveva sviluppato una sua coerenza tecnica, riuscendo ad armonizzare attività diversissime tra loro, si trasforma in un non-sistema anarchico la cui pericolosità sociale si sta appena manifestando.
In questo processo involutivo la soppressione di posti di lavoro occupa un ruolo centrale. Il disastro di Viareggio è avvenuto in un momento in cui il gruppo FS, complici i sindacati “più rappresentativi”, cerca di introdurre il sistema ad “agente solo”, vale a dire un solo macchinista in cabina di guida, senza nessuno accanto, nemmeno il capotreno. I presupposti tecnologici per giustificare questo sistema di conduzione dei treni in piena sicurezza non ci sono, come giustamente fanno notare i delegati RSU/RLS dell’Assemblea nazionale ferrovieri. Allo stesso modo, non ci sono i presupposti per portare da 6 a 8 le vetture che un singolo capotreno può scortare nel trasporto regionale. Ma questi “cambiamenti”, che espongono ferrovieri e viaggiatori a nuovi rischi, sono stati sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil lo scorso maggio. Tra l’altro, senza lo straccio di una consultazione e avvalendosi della pressione disciplinare delle gerarchie di Trenitalia contro i macchinisti e i capitreno che si oppongono, sostenuti dai sindacati autonomi e da quelli di base.
Quando Berlusconi ha voluto fare il suo show a Viareggio, per “prendere in mano la situazione”, è stato fischiato dagli abitanti della cittadina. Ma i ferrovieri, in cuor loro, aggiungono a questi fischi quelli che vorrebbero indirizzare ad Epifani, segretario della Cgil, che ha parlato di “disastro annunciato”, come se i vertici del suo e degli altri sindacati non avessero e non continuassero ad avere responsabilità pesantissime nello stato in cui versano oggi le ferrovie italiane.
Tra quelli che non chinano la testa e non aspettano che si verifichino tragedie come quella di Viareggio per battersi per la sicurezza del sistema ferroviario, dobbiamo ricordarlo, c’è Dante De Angelis, macchinista e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), che la direzione di Trenitalia ha voluto licenziare proprio per la sua attività di denuncia. Una denuncia mille volte confermata dai fatti.
Questi fatti non sono un’esagerazione propagandistica. Nella sola Toscana, nel giro di poche settimane, la rottura di un asse di un carrello è stata la causa di deragliamenti di treni merci a Prato e a Pisa San Rossore. Per fortuna senza conseguenze sulle persone. Per fortuna, appunto, ma la fortuna non può essere il presupposto di un sistema di trasporto ferroviario.
Corrispondenza ferrovieri