Quello che manca nel panorama politico, non solo e non tanto in occasione delle varie tornate elettorali, è la voce dei lavoratori. L’espressione dei loro interessi collettivi può esprimersi soltanto con un partito indipendente dalle altri classi sociali. Il mondo del lavoro dovrà darsi questo strumento se non vorrà continuare a fare l’agnello sacrificale del capitalismo e delle sue crisi.
Questo numero de “L’Internazionale” esce qualche giorno prima delle elezioni europee e delle varie consultazioni locali. Non abbiamo dei risultati elettorali da commentare. Quello che vediamo è una sinistra frammentata che cerca di risalire la china dopo essere stata di fatto espulsa dal parlamento nelle precedenti elezioni politiche. Le coalizioni un po’ più consistenti che si rifanno in qualche modo al…socialismo, sono “Sinistra e libertà” , che aggrega varie correnti uscite dal PD e da Rifondazione Comunista, oltre che i Verdi e l’ala sinistra di ciò che rimane del vecchio PSI, e la lista che unisce Rifondazione e i Comunisti italiani.
Quest’ultima lista, per il fatto che si presenta come una tappa di un processo di unificazione delle forze comuniste, potrà forse riscuotere un qualche successo in settori di elettorato popolare legato, in modo più o meno vago, alle idee e alla tradizione politica del comunismo o, semplicemente, “nostalgico” del vecchio PCI stalinista di Togliatti, Longo e Berlinguer.
Rimane, qualunque sia l’esito della consultazione elettorale, il problema di una emarginazione della classe lavoratrice dalla scena politica. Rimane il problema di superare questo stato di cose e di come farlo.
Le elezioni, da questo punto di vista, non rappresentano molto. Un piccolo successo della lista “comunista” di Ferrero e Diliberto e, in genere, di tutte le liste che anche in sede locale, si riferiscono apertamente al comunismo o ai suoi simboli, potrà al massimo rispecchiare uno stato d’animo un po’ più fiducioso nella possibilità di una politica ispirata ad altri interessi che non siano quelli del grande capitale.
Oggi una politica operaia significa soprattutto chiare rivendicazioni generali di tutto il mondo del lavoro contro la grande borghesia e i suoi governi. Significa porre l’accento sulla lotta, sugli scioperi, più che sull’esito delle votazioni. E’ certo che ci vuole un partito per dare gambe a queste idee.
La costruzione di un partito vero, fatto di militanti convinti e disposti all’impegno in prima persona - un partito che abbia radici solide in primo luogo tra i lavoratori più decisi e combattivi, nelle fabbriche, nei servizi, negli uffici – è una cosa ben diversa dalla ricerca di consensi elettorali.
Qui bisogna costruire su un terreno solido. In primo luogo dal punto di vista dei princìpi e del programma generale. Le acrobazie e i funambolismi che forse consentiranno di raccattare qualche voto non possono essere la base di un vero partito dei lavoratori.
La storia del movimento operaio, nei suoi momenti migliori, contiene ricchissimi giacimenti che possono essere validamente utilizzati anche oggi. Saperli trovare e sapersene servire non è solo questione di conoscenza storica o di furberia. Occorre una seria assimilazione degli insegnamenti di questa storia.
Quando si parla di costruzione di un partito, si parla di formazione di quadri militanti, cioè dell’ossatura portante di questo futuro partito. La chiarezza nei principi e nei riferimenti programmatici fondamentali di quel marxismo su cui diciamo di appoggiarci, è una componente insostituibile e irrinunciabile. Il partito operaio di domani, porterà con onore l’appellativo di comunista e, proprio per questo, avrà fatto i conti con tutto il marciume staliniano e con chi in Italia, da Togliatti a Berlinguer, fu complice della controrivoluzione stalinista e dell’asservimento della classe lavoratrice, nello stesso tempo, alla borghesia italiana e alla politica estera della burocrazia sovietica.