La crisi si aggrava e il governo teme lo scoppio della collera popolare
Leggi liberticide e cariche della polizia sono un chiaro segnale: tolleranza zero contro chi protesta
Il 5 febbraio gli operai della Fiat di Pomigliano, da mesi in cassa integrazione, di fronte alle avvisaglie di chiusura dello stabilimento, decidevano di bloccare l’autostrada Napoli – Roma. Venivano accolti da una violenta carica della polizia che manganellava chiunque capitasse a tiro. La caccia all’operaio si concludeva con una decina di contusi, di cui due finiti in ospedale, e sette fermati.
Stessa sorte per i 50 operai della Insse-Presse, azienda metalmeccanica di Milano chiusa dal padrone al fine di lucrare sulla vendita del terreno su cui sorge la fabbrica, che si trova in un’area edificabile molto appetibile per gli speculatori immobiliari. I lavoratori presidiano da dieci mesi i macchinari che stazionano davanti allo stabilimento in attesa di essere venduti dal padrone al miglior offerente. All’alba del 10 febbraio gli operai ricevevano la visita delle forze dell’ordine di scorta ai camion mandati dal padrone allo scopo di portar via i macchinari. Anche in questo caso la lotta degli operai contro i licenziamenti otteneva come risposta i colpi dei manganelli. La determinazione dei lavoratori impediva che i macchinari venissero caricati sui camion e a tutt’oggi continua il presidio davanti ai cancelli della Insse.
Il 9 marzo, un centinaio di studenti dell’università di Torino protestavano contro la presenza di una quindicina di militanti del Fuan (organizzazione degli studenti universitari di AN) all’interno dell’ateneo. Costoro, protetti da due robusti cordoni di poliziotti e carabinieri, stavano raccogliendo le firme per le elezioni del Senato studentesco di ateneo. La protesta veniva repressa con cariche di una violenza inaudita da parte delle forze dell’ordine che malmenavano rabbiosamente gli studenti e i lavoratori che si trovavano nell’atrio del palazzo delle facoltà umanistiche. Due studenti antifascisti venivano posti in stato di fermo, un terzo addirittura arrestato e poi trattenuto in carcere per diversi giorni con l’accusa di lesioni e aggressione agli agenti di polizia. Le forze dell’ordine hanno affermato di essere entrate nell’ateneo perché autorizzate dal rettore Pellizzetti, che invece ha negato di averlo fatto. L’unica cosa certa è che il rettore ha decretato il divieto sine die di qualsiasi forma di propaganda politica all’interno dell’Università di Torino.
Il 18 marzo, all’università La Sapienza di Roma, gli studenti dell’Onda, il movimento studentesco sorto nell’autunno scorso contro i tagli a scuola, università e ricerca decisi dal governo, sono stati prima assediati e poi caricati dalla polizia all’interno dell’ateneo per impedire loro di raggiungere in corteo la manifestazione promossa dalla Flc-Cgil in occasione dello sciopero del comparto scuola e conoscenza. Polizia, carabinieri e guardia di finanza, presenti in forze per applicare il protocollo siglato il 10 marzo scorso dal prefetto di Roma, dal sindaco post-fascista Alemanno, dai partiti presenti in parlamento e negli organi di governo della città, inclusi quelli di sinistra, e dai sindacati concertativi, Cgil compresa. Si tratta di un provvedimento che vieta le manifestazioni di piazza in vaste aree del centro di Roma.
Questi episodi sono tutti legati da un filo rosso: la decisione del governo di reprimere oggi il dissenso organizzato per prevenire ben più incontrollabili esplosioni di collera popolare che potrebbero verificarsi domani. Di fronte all’aggravarsi della crisi economica e finanziaria, lo Stato manda un chiaro segnale a chi lotta per difendere il salario e il posto di lavoro. Tolleranza zero per chi protesta. E’ questo il senso di una serie di misure varate in questi mesi dal governo, come il disegno di legge che prevede un nuovo restringimento del diritto di sciopero, per ora circoscritto ai trasporti. Lo sciopero sarà legittimo solo se indetto da un sindacato che rappresenti più del 50% dei lavoratori interessati. Altrimenti si potrà promuovere lo sciopero solo mediante un referendum che registri l’approvazione di almeno il 30% dei lavoratori, ma a patto che l’organizzazione sindacale rappresenti almeno il 20% dei lavoratori. In alcuni settori, peraltro non precisati dal governo, ogni singolo lavoratore dovrà dichiarare preventivamente la propria adesione, con tutto quel che ciò comporterà in termini di pressioni, ricatti e liste di proscrizione. Per non parlare del cosiddetto “sciopero virtuale”, nel senso che il lavoratore farà sciopero lavorando senza retribuzione. In più, aspre sanzioni non solo per i sindacati ma anche per i singoli lavoratori in caso di mancata osservanza delle norme di indizione o revoca dello sciopero, norme ancor più rigide di quelle previste dalla legge 146 del 1990. Non è difficile immaginare che, di fronte all’acuirsi della crisi e ad un maggiore pericolo di scontro sociale, lo Stato non esiterà ad estendere questo provvedimento a tutto il mondo del lavoro.
Non è stato per un caso che le cariche della polizia abbiano avuto come bersaglio gli operai e gli studenti. In questi mesi il movimento studentesco in lotta contro le leggi di Tremonti e di Gelmini ha espresso limiti e contraddizioni, tra cui l’illusione di trovare improbabili sponde nel mondo baronale universitario e la tardiva denuncia delle leggi sull’autonomia didattica e scientifica anticipatrici del disegno di privatizzazione dell’istruzione e della ricerca. Eppure questo movimento ha dato vita ad iniziative di lotta combattive e di massa. E, soprattutto, è stato un movimento che, nella sua parte più avanzata, ha colto un elemento molto importante: la necessità di far pagare la crisi ai veri responsabili, vale a dire ai padroni e ai banchieri. E’ questa chiarezza che ha portato gli studenti a cercare un contatto con gli operai, a volantinare davanti alle fabbriche, a parlare con i lavoratori colpiti dalla cassa integrazione e dai licenziamenti di precarietà, di peggioramento delle condizioni di vita, di come lottare uniti contro chi, pur di non diminuire i propri profitti vuole scaricare i costi della crisi su chi lavora o studia.
Padronato e governo temono fortemente questa possibile unità e oggi, per evitare che essa si concretizzi nei prossimi mesi, tentano di correre ai ripari con misure sempre più autoritarie nei confronti della protesta sociale. Il loro obiettivo è la divisione del mondo del lavoro, quello dei lavoratori è la lotta d’insieme.
M.I.