La caduta dei traffici nel settore dei containers provenienti dall’Asia, e in particolare dalla costa cinese, sta mettendo a dura prova i terminal europei e americani.
Se è vero, come dicono gli operatori del settore, che si tratta di una crisi che investe un container su quattro, determinando cioè il 25% in meno dei traffici, ci saranno conseguenze drammatiche sull’occupazione. I dati statistici di gennaio e febbraio, provenienti dai porti cinesi, confermano questa tesi, e l’intero shipping internazionale si è orientato a mettere in disarmo le navi. Ad oggi, sulla rotta Asia /Europa, la capacità di trasporto è stata ridotta del 30%, e il 24% su quella americana. Non più tardi di un anno fa, il nolo dei containers, cioè il costo di un container pieno che viaggia su una nave dall’Asia all’Europa, viaggiava intorno ai 2.800 dollari. Oggi, dopo aver raggiunto un calo del 90% (novembre/dic.2008) dopo la riduzione dell’offerta di stiva, sta risalendo sotto l’effetto di richieste di aumento da parte dei grandi armatori, ma rimane sempre sotto il punto di pareggio, considerato dagli armatori 1.100 $.
La crisi di sopracapacità di stiva e l’abbassamento dei noli non deve essere pagata dai lavoratori, ma da chi continua a fare profitti malgrado la crisi economica mondiale!
Possiamo pensare mille cose sulla crisi economica mondiale, ma una cosa è certa: la classe dirigente dei singoli paesi, incominciando da quella italiana, è responsabile del proprio sistema. Le borghesie, utilizzando le crisi economiche, introducono nuove leggi contro i lavoratori: è successo in passato e succederà anche questa volta, se i lavoratori non faranno sentire la propria voce.
La portualità italiana, dato il deficit strutturale, riesce ad incrementare i traffici solo in presenza di leggi che passano sopra la testa dei lavoratori dei porti. La legge 84/90 svuotò le storiche Compagnie portuali, organizzazioni che governavano con orgoglio tutto il ciclo delle merci in porto. L’applicazione si dimostrò rigorosa nelle parti che contrastavano la sopravvivenza delle Compagnie, e assolutamente inconsistente per le parti che riguardavano i diritti e le tutele dei lavoratori. Le Compagnie sono state prima decimate e ora, con la crisi, messe all’asta al migliore offerente, come quelle di Trieste e di Rotterdam, con i lavoratori finiti in liquidazione dopo essersi dissanguati per anni con il cottimo. Non più tardi di un anno fa, 96 lavoratori della compagnia portuale di La Spezia sono stati liquidati con 26.000 euro a testa; con la 84/90, sui moli ci sono solo migliaia di lavoratori con un lavoro a cottimo. E con la crisi economica che occupa le prime pagine dei giornali, gli operatori portuali si stanno preparando per la fine dell’epoca d’oro, cogliendo l’occasione per fare riforme nei porti di mezza Europa, in vista di un nuovo ciclo di alti profitti.
I lavoratori dei porti non possono permettersi di stare fermi, in attesa che qualche dirigente di Società possa risolvere i problemi al posto loro. Devono avere la capacità di reagire dallo stato di abbandono in cui i dirigenti sindacali li hanno costretti. I salari dei portuali sono falcidiati dalla riduzione dell’avviamento al lavoro, sono ridotti per il calo delle merci, e le Compagnie Portuali, che in questi ultimi anni hanno prodotto occupazione, non percepiranno nemmeno la cassa integrazione.
A Genova, i dirigenti della Culmv hanno preferito fare accordi con gli armatori anziché utilizzare l’art.17 e la legge 84/90, e sono finiti prima nelle maglie della magistratura, trascinando successivamente i lavoratori in un vicolo cieco: senza contratto unico dei porti, senza cassa integrazione, e con la crisi attuale anche con salari dimezzati. Con il 30% di esuberi e alla vigilia della gara per l’art.17 indetta dal Governo, alla Culmv non resta che partecipare per l’acquisizione dell’articolo, e portare i portuali verso il contratto collettivo unico dei porti e la garanzia del salario contrattuale, 26 turni garantiti.
I portuali di Livorno, con turni dimezzati, azzeramento delle chiamate per gli interinali e pochi avviamenti per i dipendenti Agelp art.17, di certo non possono ridere; ma almeno hanno l’escamotage della cassa integrazione e la garanzia dei 26 turni contrattuali.
La situazione non è diversa nei porti più importanti porti dell’U.E: in Spagna il Governo Zapatero ha deciso di dare un’accelerazione alla riforma della portualità, mentre 1.200 portuali del porto di Barcellona entravano in cassa integrazione per il calo repentino del lavoro. In Olanda, la storica Compagnia Portuale di Rotterdam ha finito con il trasformarsi in agenzia interinale, passando prima dal fallimento e dalla perdita del salario per i 450 lavoratori portuali.
La messa in liquidazione di alcune Compagnie, come anche la crisi di altre Cooperative operanti nei porti, pongono domande alle quali non si possono dare risposte, senza recuperare la sostanza di quello che un tempo le Compagnie hanno rappresentato per tanti lavoratori dei porti. Va recuperata quella coscienza di classe che un tempo era la caratteristica essenziale dei lavoratori portuali, che si distinguevano per la loro capacità di lottare; oggi riescono a ritrovare l’unità d’azione sul tema della sicurezza, ma senz’altro non è sufficiente.
I portuali hanno determinazione e orgoglio sufficienti per affrontare una battaglia di avanguardia.
Possono essere in prima fila per denunciare una truffa evidente che la crisi ha messo a nudo: quella che per anni è stata spacciata per flessibilità del lavoro non è altro che precarietà assoluta per i lavoratori assunti a tempo.