Prosegue in modo incessante lo smantellamento di tutele e garanzie nei confronti del lavoro dipendente. Dopo la fulminea chiusura della questione sulla riforma del modello contrattuale, le cavallette del capitale sono pronte a far fuori le norme dello Statuto dei Lavoratori e – ancora una volta – ad attaccare il sistema pensionistico. Approfittando della crisi.
“Lo scambio virtuoso”, lo definiva l’economista Francesco Gavazzi in un articolo sul Corriere della Sera di inizio anno, 8 gennaio; lo “scambio difficile” gli fa eco sullo stesso giornale il 4 febbraio scorso Michele Salvati, altro economista in voga e a tutt’oggi guru e teorico del Partito Democratico. Di che stanno parlando questi due illustri esponenti dell’intellighenzia nostrana, dispensatori di formule infallibili per la ripresa dell’economia? Disquisiscono sulla crisi economica, e offrono opportunità, indirizzi e prospettive per il suo superamento.
Giavazzi: “Stiamo gettando al vento un’occasione irripetibile per fare alcune riforme che in tempi normali si erano dimostrate impossibili. Due volte in passato fummo capaci di cogliere l’occasione di una crisi. [Sta parlando del 1992 e del 1995, affossamento della scala mobile e riforma delle pensioni] Sacconi ha detto che occorre introdurre una forma di sussidi di disoccupazione accessibili a tutti: poiché è impensabile farlo senza una riforma profonda al mercato del lavoro, […] io penso che il ministro abbia in mente uno scambio fra sussidi e Statuto dei lavoratori, una legge scritta 40 anni fa per un mondo che non c’è più. Renato Brunetta ha proposto l’innalzamento dell’età di lavoro, una riforma che oggi sarebbe molto popolare perché in questi momenti incerti pochi a 60 anni lasciano volentieri il posto di lavoro, anche se per andare in pensione […] E’ il momento per porre sul tavolo un ampio pacchetto di interventi proponendo uno scambio fra riforme e aiuti all’economia. […] Allentare la legge finanziaria senza ottenere nulla in cambio mi pare una follia”.
Salvati: “Tanto maggiore è l’ammontare delle misure di sostegno dei redditi e dell’occupazione, e dunque del disavanzo aggiuntivo che ad esse conseguirebbe, tanto più rigorose e credibili devono essere le riforme strutturali da cui ci si attende un ritorno all’equilibrio. […] Se il nostro Paese si impegna in un programma di sostegno dei redditi - ad esempio un sistema di ammortizzatori sociali esteso a tutti i lavoratori e misure di sostegno dei redditi minimi un po’ più robuste della social card e del bonus – lo scambio più evidente per garantirne la sostenibilità è quello di prelevare le risorse laddove ci sono ed è possibile farlo in tempi brevi: mediante una riforma del sistema pensionistico. […] Riforme efficienti ed eque, che non si riescono a fare in momenti ordinari, si possono imporre in momenti di emergenza”.
Nonostante i pozzi di scienza da cui attingono le loro teorie, tutto sommato le soluzioni di queste teste pensanti non sembrano frutto di sforzi immani o di sconvolgenti colpi d’ala. E, nonostante le diverse sfumature della loro colorazione politica, decisamente schierata quella di Salvati, ex parlamentare dell’Ulivo e promotore del Partito Democratico, più sfumata quella di Giavazzi, si tratta di soluzioni sorprendentemente – si fa per dire – simili e complementari, anzi decisamente concordi. Il filo conduttore infatti è unico, e ostentato con molta chiarezza: scambiare qualche irrisoria concessione con la rinuncia a diritti importanti. Si può approfittare della ghiotta occasione offerta dalla crisi economica, e della sostanziale passività che caratterizza al momento le reazioni della classe operaia, per portare un affondo decisivo alle sue condizioni e alle tutele che aveva conquistato con anni di dure lotte. Si può approfittare dell’opportuna congiuntura e, con il pretesto della crisi, attaccare – dopo i contratti – lo Statuto dei Lavoratori e quel poco che resta delle pensioni pubbliche. In tutti e due i commentatori è ben chiaro questo collegamento tra crisi e debolezza della classe operaia, e tra crisi e possibilità di offensive altrimenti irrealizzabili in “tempi normali”; entrambi spronano il Governo ad approfittare della situazione senza ritegno. A nessuno dei due è passato mai lontanamente per la mente che la copertura dei bisogni della classe operaia possa passare dalla rinuncia a qualcuno dei privilegi della borghesia; per entrambi è perfino “evidente” che ogni spesa in più destinata alla classe operaia debba essere interamente pagata dalla classe operaia stessa.
Il boccone avvelenato dei due economisti può essere così chiaro e senza esitazioni perché sostanzialmente calcolano di avere buone probabilità di non incontrare ostacoli. I lavoratori devono essere consapevoli di quello che si progetta sulla loro pelle. Devono sapere che ci vogliono cinque minuti per vedersi sfilare dalle mani i diritti che erano costati tanta fatica e tante lotte a coloro che sono venuti prima di noi, e che ci vorranno decenni di battaglie ancora più pesanti e violente per sperare di riconquistarli.