Alla fine di quest’anno, dopo che per anni, dall’epoca delle Olimpiadi di Atene del 2004, si era parlato di una Grecia orami solidamente integrata all’Europa ed economicamente in pieno decollo, la realtà ha brutalmente strappato il paese dal sogno di un roseo futuro e gli ha gettato in faccia lo spettro, questo reale, di una crisi senza precedenti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il governo socialista di G. Papandréou, vincitore delle elezioni del 4 ottobre, si è accorto che i conti non tornavano…. Il rapporto deficit/PIL che, pochi mesi fa, il precedente governo conservatore stimava al 3,7% è risultato essere al 12,7%, più che triplicato! Il debito pubblico salito al 113,4% potrebbe il prossimo anno attestarsi al 125%. La versione ufficiale parla di "errori statistici" nel calcolo dell’andamento dell’economia. Ma la realtà detta in modo brutale è che i conti sono stati "taroccati". Non è la prima volta ed una pratica che è stata usata da tutti i governi conservatori e socialisti. Già a cavallo del secolo il governo del socialista Simítis, dichiarò un rapporto deficit/Pil del 2,4% per entrare subito nella zona euro, mentre poi si "scoprì" che tale rapporto era del 4,2%.
Il governo Papandréou sotto pressione dell’Unione Europea, che non gradisce di avere sulla schiena una Grecia economicamente malata, si è impegnato a rimettere le cose a posto entro il 2012, il che significa per i lavoratori greci un futuro di lacrime, sudore e sangue. Senza voler entrare negli aspetti internazionali che la crisi greca può causare (indebolimento dell’Unione Europea, tentativo cinese di aumentare l’influenza sulla Grecia e sui Balcani, già una società cinese, la COSCO, controlla buona parte del porto del Pireo, rapporti fra Grecia e Turchia, etc.) è più importante capire quello che potrà accadere a chi deve pagare gli "errori statistici nel calcolo dell’andamento dell’economia".
Dato per scontato che il governo non farà pagare niente a grandi speculatori, industriali, armatori etc. G. Papandréou si trova a dover fare un lavoro sporco, salvare l’economia mettendo in ginocchio una buona metà del suo elettorato, i lavoratori salariati. Il suo piano triennale prevede un aumento delle imposte indirette già dalle prossime settimane (sigarette, carburanti, petrolio da riscaldamento), il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego (escluso i comparti sanità, sicurezza, ed istruzione), tagli vari, da definire, per risanare i conti pubblici. Mentre una buona parte dell’elettorato del partito socialista, che si autodefinisce il partito che rappresenta l’unione fra i lavoratori e i "ceti medi", pagherà la crisi duramente il governo non sembra convinto a rendere partecipi dello sforzo i "ceti medi", cioè i professionisti, i piccoli e medi industriali e commercianti, che dichiarano un reddito anno medio che è un terzo di quello dei lavoratori dipendenti.
Mentre l’economia in alcuni paesi europei da timidi "segni di ripresa" in Grecia gli indici sono ancora negativi, le entrate turistiche sono calate del 20%, la disoccupazione è in costante aumento e ormai non solo fra i lavoratori immigrati ma anche fra i lavoratori greci che sono impiegati in lavori qualificati. I mille giorni di austerità che il governo esige potranno portare il numero di disoccupati fino a un milione in un paese dove gli occupati ufficiali sono circa cinque milioni.
Il sindacato del pubblico impiego, ADEDY, ha annunciato un prossimo sciopero generale (nel momento in cui scriviamo la data, non è ancora stata definita) per rispondere alla crisi. Non sarà un semplice sciopero generale che potrà ribaltare una tale difficile situazione, specialmente se si continuerà a seguire la strategia di una direzione sindacale legata a doppio filo con il partito socialista ora al governo.
Ben altre mobilitazioni sono necessarie e questo deve diventare patrimonio dei lavoratori più coscienti, per tentare una ripresa operaia che può sembrare ora molto lontana.
Corrispondenza da Atene