2010, anno europeo contro la povertà. Quasi un oltraggio nell’Europa dei nuovi poveri.
Eurostat ha appena pubblicato le statistiche sulle condizioni economiche della popolazione, con particolare attenzione ai livelli di reddito perché – udite udite – il 2010 sarà l’anno che la Comunità europea dedica alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Stando alle statistiche accertate non mancherà il lavoro né gli argomenti di riflessione, perché come un tumore gigantesco la povertà – complice la crisi economica – si sta allargando dai Paesi cosiddetti del terzo mondo alla seconda area più ricca del mondo, l’Unione Europea. Nel 2008, secondo i dati Eurostat, 79 milioni di persone, il 17% della popolazione, non ha avuto la possibilità di soddisfare le necessità di base: il cibo, il riscaldamento, gli elettrodomestici elementari.
I numeri, nella loro freddezza, sono impressionanti: un europeo su otto abita in una famiglia dove nessuno ha un lavoro, e per l’8% dei cittadini europei lavorare non significa vivere al di sopra della soglia di povertà, perché il salario che percepiscono è insufficiente. Ovviamente i parametri cambiano a seconda dei Paesi, ma la tendenza è comune in tutto il territorio europeo, e i dati dei singoli Paesi a volte sono sorprendenti: in alcuni Paesi dell’Est europeo la statistica può sembrare prevedibile, come la percentuale di poveri in Lettonia, Romania e Bulgaria, dove il dato è rispettivamente del 26, 23 e 21%, ma la Repubblica Ceca ad esempio è il Paese europeo con la percentuale più bassa, il 9%. Spagna e Grecia possono vantare ben il 20% di poveri, immediatamente seguiti dall’Italia che ne conta il 19%. Ma anche i Paesi del Nord europeo, dove lo stato sociale è una conquista storica, hanno percentuali altissime: l’Olanda raggiunge l’11%, la stessa percentuale della Slovacchia, la Danimarca e la Svezia il 12% come l’Ungheria. Tutta l’Europa tende a uniformarsi, a quanto pare, nel livellare al ribasso il livello economico dei propri abitanti.
Il futuro, stante così la situazione, non offre molti motivi di ottimismo, e la prospettiva è aggravata dal fatto che proprio nelle fasce più giovani della popolazione si trovano le percentuali di povertà più alte, molto di più che nella popolazione adulta. In questa indegna classifica l’Italia si pone nelle posizioni di testa, al terzo posto con il 33% di bambini poveri, subito dopo la Romania con il 33% e la Bulgaria con il 26%, mentre le percentuali più basse si registrano in Ungheria, con il 4%, Lussemburgo (5%), Repubblica Ceca (7%).
Anche l’occupazione è in forte flessione ormai da un anno nell’Unione Europea, con la perdita di 4,6 milioni di posti di lavoro: quasi cinque milioni di famiglie che non sapranno come soddisfare i bisogni elementari.
Ed è solo l’inizio: mentre non manca chi in tempo di crisi si è arricchito, gli esiti della crisi economica continuano ad abbattersi sui lavoratori e le loro famiglie. Ma la povertà e lo sfruttamento non sono fenomeni naturali, come gli uragani o i terremoti; hanno origine da un sistema economico e sociale che si regge anche su di essi, hanno mandanti ed esecutori. Non ci sono giustificazioni per un sistema sociale che avrebbe raggiunto un livello di sviluppo tale da assicurare il necessario a tutti.