Quello che segue è il testo di un editoriale di "Lutte Ouvrière", diffuso anche sotto forma di volantino tra i lavoratori di centinaia di aziende francesi, pochi giorni dopo il terremoto di Haiti.
Il sisma che ha colpito Haiti il 12 gennaio ha fatto decine di migliaia di vittime, certamente milioni di senza tetto ed è evidente che l’organizzazione e il coordinamento dei soccorsi, in un paese in cui la più parte delle infrastrutture sono state distrutte, non sono una cosa facile. Ma la sorte della popolazione povera è resa ancora più terribile dal fatto che essa viveva già nella miseria, tanto che il consumo di gallette di argilla per ingannare la fame faceva parte della vita dei più poveri tra gli haitiani ben prima del terremoto.
Haiti non è vittima di una maledizione. Haiti è stata vittima in primo luogo dello sfruttamento coloniale da parte della Francia e poi da parte dell’imperialismo nord-americano.
Il commercio e lo sfruttamento senza freno degli schiavi neri nelle piantagioni di canna da zucchero nel XVII e nel XVIII secolo sono stati una delle principali fonti di arricchimento della borghesia francese durante questo periodo. È sul loro sudore e sul loro sangue che si sono costruiti gli hotel particuliers , le sontuose ville, di Nantes, di Bordeaux e di molte altre città. E quando, investita dal soffio della Rivoluzione francese, Haiti ha abolito la schiavitù, vincendo in seguito le truppe che Napoleone vi aveva inviato per ristabilirla, la Francia non accettò di riconoscere l’indipendenza dell’isola che in cambio di un indennizzo colossale che rovinerà le finanze di Haiti fino al 1888.
Nel XX secolo gli Stati Uniti hanno preso il posto della Francia nello sfruttamento dell’isola, mettendo le mani sui terreni agricoli migliori e utilizzandone, nella zona industriale di Port-au-Prince dei lavoratori sotto-pagati: meno di due dollari al giorno in questi ultimi anni. E, parallelamente a questa presenza economica, gli USA non cessano di intervenire nella vita politica haitiana: deposizione del presidente Aristide nel 1991, suo reinsediamento nel 1994 (dopo un soggiorno negli USA destinato a convincerlo di cambiare politica), invio in esilio dello stesso Aristide nel 2004 e messa in atto, sotto la copertura dell’ONU, di una missione di 6000 militari e 1400 poliziotti incaricati di mantenere l’ordine dell’imperialismo ad Haiti.
Allora, Obama può ben fare dei discorsi umanitari, affidare a Clinton e a Bush (un nome che è tutto un programma) la cura di raccogliere dei fondi per Haiti. Le sue principali preoccupazioni sono, da una parte, evitare l’afflusso di una massa di rifugiati haitiani negli Stati Uniti, come è successo in occasione dei recenti cicloni devastatori, quando quelli che erano riusciti a lasciare l’isola con imbarcazioni di fortuna sono stati respinti senza pietà; dall’altra parte, Obama si preoccupa di evitare tutti i rischi di esplosione sociale che possano minacciare gli interessi tanto dell’imperialismo americano quanto degli haitiani ricchi che ne sono gli alleati locali.
Una delle prime misure di Obama è stata di inviare 10.000 marines ad Haiti. Per assicurare la sicurezza del trasporto e della distribuzione dei viveri? Certamente, ma anche pronti ad assicurare l’ordine imperialista. Quanto a Sarkozy, per non restare indietro ha proposto a sua volta di inviare in loco 1000 gendarmi europei.
Nella tragedia che vive, il popolo haitiano ha bisogno della solidarietà di tutte le persone di buona volontà. È bene che la generosità popolare, che non fa calcoli politici, si sia, ancora una volta, manifestata. Ma questo popolo che, primo al mondo, ha saputo rompere le catene della schiavitù, non fuggirà veramente dalla miseria se non quando tutti gli sfruttati, tutti gli oppressi della terra, quelli di Haiti come quelli di tutti gli altri paesi, avranno buttato a gambe all’aria il sistema capitalistico, costruendo una società che si darà i mezzi per far fronte alle conseguenze delle catastrofi naturali invece di consacrare delle fortune per costruire delle macchine da guerra.
Che cosa rappresentano, infatti, i 100 milioni di dollari stanziati da Obama o i 20 milioni di euro stanziati dalla Francia per Haiti, al confronto di 377 milioni di dollari che costa ogni giorno l’intervento militare degli USA in Iraq e in Afghanistan?