Undici licenziamenti in ferrovia

Quello del ferroviere era ritenuto fino a qualche tempo fa un "posto" degno di questo nome. Cioè un vero posto di lavoro. Nel quartiere il ferroviere in divisa che arrivava dal lavoro o era in procinto di andarci, incrociando lo sguardo dei vicini, poteva cogliere spesso un misto di invidia e di ammirazione. "Certo è un lavoratore- si pensava e si diceva- ma ha un posto stabile e guadagna bene".

Da diversi anni la situazione dei ferrovieri non è così rosea ma il senso comune tarda ad adattarsi alla realtà. Ora, con 11 licenziamenti in tutta Italia, nel gruppo Ferrovie dello Stato, il mito del "privilegio" dei ferrovieri subisce lo scossone definitivo.

Undici giovani, assunti come apprendisti, si sono visti negare l’assunzione definitiva al termine del loro periodo di "apprendistato". Le varie direzioni regionali non hanno ritenuto di dover dare nessuna spiegazione per quelli che, nei fatti, sono dei veri e propri licenziamenti. La società FS ha usufruito di tutti i vantaggi economici e contributivi che le offrono le leggi sull’apprendistato utilizzando in realtà questi lavoratori come tutti gli altri. Esponendoli cioè ai rischi e alle responsabilità dei colleghi più anziani. Non solo: spesso ha imposto loro prestazioni straordinarie ed eccedenti i limiti imposti dai contratti e dalle normative di lavoro. Tra i licenziati c’è senza dubbio più di un giovane che non ha voluto sottostare alle prepotenze aziendali e ha voluto difendere i propri diritti; questo è bastato per segnalarlo alle solerti gerarchie intermedie che hanno poi "passato il caso" a quelle superiori.

Da tempo si respira un clima di intimidazione. Non si contano i provvedimenti disciplinari, le minacce, le pressioni. Le più recenti scelte aziendali in fatto di organizzazione del lavoro hanno trovato una certa resistenza soprattutto tra i macchinisti. Chi fra questi si è rifiutato di accettare la condotta del treno ad "agente solo" è stato colpito da duri provvedimenti disciplinari e minacciato di licenziamento. Ma anche chi intende semplicemente far rispettare i propri diritti, teoricamente riconosciuti anche dall’azienda, è sempre più spesso colpito. È il caso di un capotreno di Firenze che si è visto appioppare 8 giorni di sospensione (otto!) senza stipendio perché, di ritorno da un servizio di notte, ha avuto l’ardire di rifiutarsi di fare, la mattina stessa, una giornata di aggiornamento professionale.

Certo, con i licenziamenti la politica del terrore e dell’intimidazione ha fatto un ulteriore salto di qualità. Ora circola la paura che nel prossimo scaglione di apprendisti ci possano essere altre mancate conferme. Il terrorismo aziendale comincia ad avere qualche effetto. D’altra parte, come succede sempre in questi casi, c’è anche chi non si abbatte, chi non china la testa, e sente che alla prepotenza del "padrone" bisogna opporre una protesta collettiva e non solo i pur necessari ricorsi legali.

Così, ad esempio, in Toscana, si è tenuta un’affollata assemblea lo scorso 17 marzo, al Dopolavoro Ferroviario di Pisa proprio per organizzare la protesta dei lavoratori e manifestare la solidarietà con i licenziati, cominciando dai due più vicini: un capotreno di Pisa e un macchinista del deposito Cargo di Livorno.

L’assemblea è stata "auto- organizzata", ovvero non è stata indetta da nessuna organizzazione sindacale, per quanto i militanti del sindacato autonomo O.r.s.a. vi abbiano avuto un ruolo preponderante. L’unico altro sindacato che ha mandato una propria rappresentanza è stata la Cgil.

Ora la volontà di lotta di questo primo gruppo di ferrovieri più coscienti ha davanti a sé la sfida di resistere nel tempo e di aumentare il numero dei sostenitori nella categoria. Senza avventurismi ma anche senza accettare passivamente la trasformazione dei ferrovieri in marionette aziendali che si buttano via quando rompono i fili del burattinaio.

Corrispondenza ferrovieri