L’Europa delle banche contro i lavoratori

Il debito pubblico è il nuovo volto della crisi mondiale. Negli ultimi due anni si è gonfiato a dismisura soprattutto per i generosi aiuti che i governi hanno accordato al sistema bancario dopo il fallimento della banca Lehman Brothers . Gli stati hanno cercato finanziamenti nei mercati finanziari e hanno trovato proprio nelle banche, cioè nei beneficiari del loro indebitamento, i più grandi investitori. Questo manicomio si chiama "finanziarizzazione dell’economia". Tentando una trasposizione nei normali rapporti tra persone, sarebbe come se a un tizio sull’orlo della rovina economica si accordasse un prestito senza interessi o quasi e poi, rimasti a nostra volta privi di mezzi si chiedesse allo stesso tizio di prestarci dei soldi ma a un tasso quattro o cinque volte maggiore. Se questa non è sottomissione degli stati e dei governi al capitale finanziario che cosa altro può esserlo?

Sull’acquisto di bond o titoli di stato da parte della banche, prendiamo a prestito le parole di un giornalista economico che ha scritto sul quotidiano della Confindustria il 12 maggio scorso: "Ma questi acquisti non sono stati un ai governi: sono stati un business molto profittevole. Del resto il giochino del carry trade era semplice. La Bce prestava alle banche qualunque somma di denaro al tasso fisso del 1%: a loro bastava prendere tutti i soldi che volevano e comprare titoli di Stato che rendevano più dell’1%...Anche un bambino avrebbe fatto soldi". Lo stesso autore, Morya Longo, cita una stima della Royal Bank of Scotland secondo la quale gli istituti di credito europei "hanno in pancia il record di 1500 miliardi di bond emessi dai governi: il 29% in più rispetto ai livelli precedenti al crack di Lehman".

Agli "aiuti" alla Grecia sono quindi seguiti i 750 miliardi di euro per "salvare la moneta unica". In altri termini, sia la Banca Centrale Europea, sia i governi dell’Unione, sia quello degli Stati Uniti hanno capito che era stata tirata troppo la corda. Gli stati cominciano a rischiare il fallimento, il loro debito rischia di diventare inesigibile, e quindi i titoli di stato rischiano di essere altrettanto "tossici" di quelli, legati ai mutui facili americani, che hanno originato la crisi nel 2007. Tutta la baracca deve essere di nuovo salvata. I banchieri devono poter contare sul rendimento delle proprie speculazioni, il capitalismo americano non può correre il rischio di veder sfasciare un mercato come quello europeo. Dunque i budget di stato devono essere ridimensionati. Come? Tagliando stipendi e pensioni, tanto per cominciare. La Grecia fa scuola a tutti i capi di governo, anche se, per la verità, diversi paesi dell’Europa orientale l’avevano anticipata. Dalla Spagna Zapatero fa sapere ai "mercati" che ridurrà del 5% gli stipendi dei dipendenti pubblici e bloccherà l’adeguamento automatico delle pensioni. Il governo portoghese assicura l’UE che aumenterà di due punti l’Iva e che effettuerà un prelievo straordinario sulle tredicesime dei lavoratori statali. Ma siamo solo all’inizio. Anche in Francia, in Italia, in Germania, toccherà ai lavoratori e alla maggioranza della popolazione pagare il conto delle speculazioni finanziarie.

Ma da dove arrivano questi 750 miliardi? 60 miliardi sono risorse proprie date all’UE dagli stati membri. 440 miliardi saranno reperiti sui "mercati", ovvero fra banchieri e finanzieri, ricorrendo a un "prestito europeo". Gli altri 250 vengono dal Fondo Monetario Internazionale, il quale, seguendo vie più tortuose, si rivolgerà comunque, in ultima istanza, alle grandi istituzioni finanziarie. Dunque siamo punto e a capo. Si apre un nuovo campo alla speculazione, si prepara una nuova bolla che forse non scoppierà subito ma scoppierà inevitabilmente. Nel frattempo l’economia produttiva ristagna. Asfissiata da una domanda di beni insufficiente e indebolita ancora di più, in prospettiva, dall’austerity imposta dai governi , in gran parte affossata dallo stesso sistema bancario che gli preferisce i giochini di sicuro rendimento.

Le banche scrivono l’agenda della politica europea. Al primo posto, oggi, ci sono i sacrifici per i lavoratori. Una boccata d’ossigeno, forse, per un’economia capitalista sempre più ammorbata dal parassitismo. Ma quella che va avanti da ormai tre anni sembra sempre meno una crisi congiunturale e sempre più una crisi dell’intero sistema economico-sociale.

Da parte sua la classe lavoratrice dovrebbe farsi sentire come un’unica voce in tutto il Continente, dovrebbe approfittare di questo terreno sovranazionale preparato, loro malgrado, dai governi e dalle banche che la attaccano.

Non c’è da farsi nessuna illusione sull’attuale governo come su un eventuale altro. Nessun governo può risparmiarci i sacrifici che vengono oggi chiesti alla popolazione greca, a quella spagnola, portoghese e romena se non troverà sulla sua strada un movimento operaio europeo capace di far quadrato attorno ai propri diritti e reso invincibile dalla comunità di intenti delle sue diverse componenti nazionali.