Una marea nera invade le coste della Florida, in seguito alla disastrosa esplosione di una piattaforma petrolifera. Dopo 25 anni, si scrive in questi giorni la sentenza per il disastro di Bhopal, dove esplose una fabbrica di pesticidi.
Nel Golfo del Messico l’esplosione della piattaforma BP riversa in mare 2 milioni di litri di petrolio al giorno dal 22 aprile scorso. Il sistema di blocco automatico, che avrebbe dovuto impedire la fuoriuscita di greggio in caso di incidente, non ha funzionato. Secondo alcune fonti, pare addirittura che la valvola non fosse stata montata, comunque sia è abbastanza probabile che difettasse di manutenzione. A quanto pare, le misure di sicurezza previste per questo tipo di impianti ad alto rischio non sono troppo stringenti, e comunque – dati gli alti costi per l’affitto delle piattaforme di estrazione – le compagnie petrolifere sono più portate a estrarre quanto più petrolio possibile nel minor tempo possibile, che a preoccuparsi per garantire la sicurezza.
I costi che il disastro provocherà all’ambiente marino, alle coste, e a chiunque viva delle risorse del mare sono già immensi, ma al momento non sono interamente quantificabili, perché il flusso di petrolio è tutt’altro che interrotto. E prima ancora di ogni altra terribile conseguenza, al momento dell’esplosione della piattaforma 11 operai e tecnici sono rimasti uccisi, dettaglio questo non particolarmente sottolineato dai media. La compagnia petrolifera BP ha provato uno dopo l’altro una serie di tentativi per fermare il flusso, tutti andati a vuoto, arrivando perfino a chiedere aiuto sul proprio sito web. Sembra incredibile, ma da questo dobbiamo desumere che impianti così potenzialmente pericolosi non hanno un protocollo certo per la loro messa in sicurezza, nel caso di emergenze. La BP ha realizzato nel primo bimestre 2010 una cifra che supera i 5,6 miliardi di dollari di profitti, e quello del Golfo del Messico è solo l’ultimo di una serie di incidenti di varia entità, la maggior parte dei quali non sono conosciuti pubblicamente, e che sono costati alla compagnia 371 milioni di dollari in 10 anni per multe.
In questi stessi giorni, un tribunale distrettuale di Bhopal, in India, ha emesso la sentenza definitiva sul disastro industriale tuttora considerato più grave della storia, quello avvenuto in una fabbrica chimica installata a Bhopal per la produzione di pesticidi, nel maggio 1980, dalla multinazionale americana Union Carbide. A soli due anni dall’inizio della produzione il settore entra in crisi e comincia il licenziamento del 40°% del personale. L’anno dopo si interrompe la produzione, anche se restano ancora in giacenza 63 tonnellate di isocianato di metile, un componente altamente tossico che a contatto con l’acqua sprigiona un gas letale. Le vasche in cui la sostanza viene conservata devono essere costantemente refrigerate, ma nell’autunno 1983 gli impianti di sicurezza vengono disattivati, la manutenzione ordinaria sospesa, e spenta anche la fiamma pilota di sicurezza della torre di combustione, che costituiva l’ultimo baluardo in caso di fughe di gas. Evidentemente il tutto costava troppo, per una fabbrica che avrebbe chiuso definitivamente un anno dopo, nell’ottobre 1984. Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre dello stesso anno, un certo quantitativo d’acqua finì nel deposito di isocianato di metile, provocando un’esplosione di calore e la trasformazione della sostanza da liquida a gassosa. La torre di combustione, se funzionante, avrebbe potuto bruciare il gas, ma dato che la fiamma era spenta la forte pressione fece saltare l’impianto, proiettando il gas verso i quartieri intorno alla fabbrica, i più poveri della città.
Probabilmente nessuno saprà mai il numero esatto delle persone che morirono in quella notte e nei giorni e mesi seguenti, e delle altre che subirono conseguenze drammatiche negli anni successivi, dei bambini nati con malformazioni o con ritardi allo sviluppo, delle persone che rimasero cieche o con gravi disturbi ai polmoni, al fegato, ai reni, al sistema nervoso, al sistema immunitario. Secondo Amnesty International, le vittime furono almeno 20.000 e mezzo milione gli intossicati. Un intero territorio è stato ridotto da allora a un concentrato di veleni nel suolo, nell’aria, nelle falde acquifere. Dopo il disastro la Union Carbide abbandonò l’area senza provvedere alla bonifica, lasciando sul terreno tonnellate di composti chimici e di minerali tossici, che hanno continuato ad avvelenare l’ambiente.
A più di 25 anni da quella data tragica, la sentenza che mette la parola fine alla ricerca dei colpevoli informa il mondo che i responsabili sono otto dipendenti della fabbrica, tutti indiani. L’allora presidente della Union Carbide Corporation, Warren Anderson, non risulta tra i condannati perché latitante. Oggi ha 81 anni. Era stata richiesta la sua estradizione in India soltanto nel 2003, e nel 2004 gli U.S.A. l’avevano negata. Con un complesso iter, lo stato indiano aveva impedito alle vittime della strage di agire in giudizio autonomamente contro la Società, riservando questo potere esclusivamente al Governo indiano, addirittura con una legge apposita: il Governo temeva evidentemente di scontentare le multinazionali e di scoraggiarne gli investimenti in India.
Gli otto imputati indiani sono stati condannati a due anni di carcere, e la compagnia, nel frattempo rilevata da Dow Chemical, è stata multata per 11.000 dollari. Sulle pagine del quotidiano britannico "The Guardian" lo scrittore Indra Sinha, che ha scritto su Bophal e collaborato alla raccolta di fondi in favore delle vittime, ha commentato così la sentenza: "La compagnia è stata multata 11.000 dollari per aver causato le morti di più di 20.000 persone? Fa più o meno 55 centesimi a morte. E le sofferenze sopportate per un quarto di secolo da 100.000 sopravvissuti malati? 11 centesimi ciascuno. Da quando esistono i risarcimenti danni, non si era mai stabilito un prezzo così basso per la salute di una persona, non si era mai stabilito un prezzo così basso per una vita umana."
La vita umana, come il mondo intero che ci circonda, ha valore nel capitalismo solo se e in quanto può produrre profitti. Qualcuno sarebbe disposto a scommettere che la BP risarcirà tutti i danni provocati dal disastro nel Golfo del Messico, come ha dichiarato il Presidente Obama?