Il quotidiano inglese Guardian ha svelato un episodio raccapricciante di cui si sono resi protagonisti alcuni militari delle forze d’occupazione americane in Afghanistan. Il titolo dell’articolo, pubblicato lo scorso 9 settembre, spiega già molto: "Soldati americani uccidevano civili afghani per sport e collezionavano diti come trofei". La notizia è stata ripresa anche dalla stampa italiana ma non ha suscitato particolari dibattiti o riflessioni. Senza addentrarci nei particolari più macabri, diciamo che ad opera di un veterano che già aveva fatto parte del contingente americano in Iraq, tale Calvin Gibbs, sergente maggiore, si era costituito un vero e proprio squadrone della morte. Il Gibbs, con almeno altri quattro commilitoni, si divertiva ad assassinare persone qualsiasi facendo poi passare questi delitti per azioni militari contro dei guerriglieri.
È anche interessante apprendere come le gesta del "Kill Team", come si erano battezzati i cinque, sono venute alla luce, dalla ricostruzione che ne fa il Washington Post. Uno dei componenti del "Team", Adam Winfield, a cui evidentemente era rimasto un brandello di coscienza umana, ha scritto al padre di quanto stava accadendo. L’uomo, lui stesso un ex marine, si è rivolto ad un ufficiale del Pentagono il quale gli ha risposto: "Deve essere suo figlio a fare rapporto ai superiori, noi da qui non possiamo fare nulla". Non perdendosi d’animo, Christopher Winfield, si è messo in contatto con il senatore democratico della Florida, Ben Nelson, che ha sottoposto il caso al ministro della Difesa. A questo punto è partita l’indagine ufficiale che porterà presto gli assassini sui banchi di un tribunale militare.
Da questo episodio si possono trarre delle conclusioni che vadano oltre l’episodio stesso?
I sostenitori dell’occupazione Nato in Afghanistan sosterranno che si tratta di casi eccezionali , e che la miglior prova delle buone intenzioni degli occupanti nei confronti della popolazione civile sta proprio nel fatto che i cinque saranno ora processati per un contegno che suscita l’orrore e la riprovazione di tutti.
Ma la ricostruzione dei fatti ci dice che la verità si è fatta strada malgrado le gerarchie militari e la loro omertà e non certo grazie a loro. Il governo, d’altronde, se ne è occupato per evitare di essere travolto dal disgusto dell’opinione pubblica.
D’altra parte, restando alle testimonianze che trapelano dalla stampa, il comportamento del sergente Gibbs non era così eccezionale, almeno dal punto di vista della sua carriera militare. Gibbs si sarebbe vantato di aver scoperto quanto era facile uccidere civili già in Iraq tirando contro di loro una bomba a mano.
È questa "facilità" che rivela l’essenza dei rapporti instaurati dagli Stati Uniti e dalle potenze che occupano l’Afghanistan. Sono rapporti di dominio nei confronti della popolazione. Questa è la verità. Lo svolgersi della messinscena elettorale non cambia niente alla sostanza delle cose. Si può dire anzi che offra ai capi mafia locali l’opportunità di una copertura istituzionale più o meno protetta dalle armi della Nato e dall’esercito del governo-fantoccio.
A nove anni dall’inizio di una missione che doveva portare in quel paese alla sconfitta del terrorismo, alla ricostruzione di un tessuto sociale più evoluto, alla libertà e alla democrazia, i frutti sono lo spadroneggiare degli eserciti d’occupazione, il commercio della droga, il taglieggiamento mafioso dei villaggi ad opera dei signori della guerra locali, l’estensione della corruzione di stato. Tutto questo conduce inevitabilmente a rafforzare di nuovo l’influenza e la credibilità dei taleban. Si ritorna quindi al punto di partenza: migliaia di morti tra soldati americani, inglesi, italiani e soprattutto tra civili afghani per che cosa?
Nessuno può sapere quando il popolo afghano riuscirà a liberarsi dal ricatto dei signorotti armati nelle campagne e nei villaggi, né quando la farà finita definitivamente con gli apostoli di un medioevo feroce, come i taleban. Di sicuro gli occupanti non vogliono o non sanno fare nessuna delle due cose. Restare in Afghanistan non ha altro senso che quello di concorrere a stabilire una piattaforma militare nel cuore di una zona nevralgica per gli interessi imperialistici delle grandi potenze. Lo sanno bene i nostri governanti e i nostri uomini politici, anche dell’opposizione, che spargono lacrime ipocrite ogni volta che una bara con il corpo di un soldato italiano arriva a Fiumicino.
RP