La trattativa sulla produttività si ferma solo con la lotta!

L’appetito vien mangiando. Conferenza di Confindustria a Genova, Convegno dei giovani industriali a Capri: tra fine settembre e fine ottobre Confindustria ha fissato la sua strategia, peraltro né nuova né sconosciuta. Dopo la disdetta di Federmeccanica del contratto dei metalmeccanici, dopo l’approvazione definitiva del “collegato lavoro”, è aperto il tavolo per un nuovo accordo sulla produttività. La Cgil non vedeva l’ora di sedersi, e dopo gli accordi sugli ammortizzatori sociali e altre minutaglie, è pronta a consumare il piatto forte.

Il biglietto da visita di Federica Guidi, presidente dei giovani industriali di Confindustria, era stato chiaro: bando alle ciance, “Il mondo è cambiato, non possiamo difendere regole nate in una realtà diversa [...] Nel mondo delle relazioni industriali ci sono troppe leggi, eccessive rigidità, regole invasive che ci impediscono di crescere. Abbiamo un sistema di ferie, permessi di vario tipo, un tasso di malattie che appesantisce il costo del lavoro [...] Si deve recuperare in produttività, aumentando le ore lavorate.” (Il Mattino, 28.10.10)

Meno ferie, meno permessi, più ore lavorate, più turni, più sabati in produzione. Questa, secondo Guidi e secondo Confindustria, è la ricetta per “affrontare la crisi e recuperare competitività”, in altre parole per spremere quanto più possibile profitti dove sono sempre stati spremuti, dalle mani dei lavoratori, e per mettere interamente sulle loro spalle non solo il peso attuale della crisi, ma anche quello futuro del dopo-crisi. E per farlo sono pronti a presentare il prossimo conto, la proposta di un accordo sulla produttività che promette solo di essere un capestro per i lavoratori.

“Ci sono tutte le condizioni per decidere di fare insieme un primo tagliando all’accordo del 2009, e con i sindacati tutti, firmatari e no, verificare oggettivamente lo stato dell’arte”, aveva affermato Bombassei, vicepresidente di Confindustria, al convegno di Genova. “Non abbiamo alcun preconcetto contro nessuno, più siamo meglio è. L’importante è che non si pongano condizioni, non si mettano limiti”. (Il Sole 24 Ore, 24.9.10) Un invito condizionato alla Cgil, quindi: concediamo che si siedano al tavolo, ma devono fare come diciamo noi. D’altronde, Confindustria non può negare che è faticoso governare le relazioni industriali con una Fiom aggressiva, e auspica che venga ridotta a più miti di consigli dalla Confederazione. Ha tutto da guadagnare da una Cgil disponibile a svolgere il ruolo di mediatore, per un patto sociale che imbrigli le rivendicazioni dei lavoratori.

Definire il tavolo “un tagliando dell’accordo 2009”, che la Cgil non aveva firmato, significa d’altronde proporre alla Cgil di fare retromarcia e ritirare tutte le riserve. Certo, si potrebbe perfino commentare che la Cgil tutto sommato l’ha gia fatto, ratificando nell’ultimo anno una serie di contratti di categoria, molti dei quali perfettamente in linea con l’accordo che non aveva firmato. Solo la Fiom non ha firmato un contratto con queste caratteristiche. Malgrado ciò, dagli accordi di categoria a un accordo sulla produttività con la firma della Cgil, ci sarebbe ancora un altro passo, un altro carico di sfiducia, un altro attacco alla condizione dei lavoratori.

Ma - proprio per questo obiettivo - l’elezione di Susanna Camusso alla Segreteria generale ha destato un coro unanime di speranze, registrato praticamente da tutti i media e da tutti partiti, compresi ovviamente quelli della cosiddetta opposizione, che il nuovo capo sia capace di traghettare definitivamente la Cgil sulla sponda dei sindacati responsabili, in compagnia di Cisl, Uil e Ugl.

Il primo passo del nuovo segretario sembrerebbe non smentire le speranze, visto che a due giorni dall’elezione già si è posta chiaramente contro la Fiom, che invitava la Cgil, con un documento approvato a maggioranza dal suo direttivo nazionale, ad abbandonare il tavolo sulla produttività.

Non si può affermare che fino ad oggi sia mancato il valido apporto della Cgil, nell’offrire il sacrificio dei lavoratori agli interessi del capitale. Dopo i paesi scandinavi, l’Italia è il paese con il più alto tasso di sindacalizzazione. La Cgil stessa si è rafforzata, negli ultimi anni, come numero di iscritti: paradossalmente, Epifani lascia a Camusso una Cgil sulla carta più influente, e milioni di lavoratori più deboli, più poveri e meno garantiti. Quanto a produttività, lo avevamo già scritto, la Cgil non è in grado di insegnare niente, in particolare niente ai propri iscritti, né in termini di risultati prodotti negli interessi dei lavoratori, né ormai in termini di capacità di mobilitazione qualora non riesca a ottenerli. Sul palco della manifestazione del 16 ottobre scorso, i metalmeccanici avevano proposto uno sciopero che perfino Epifani era stato costretto a ipotizzare: oggi la stessa prospettiva si allontana nelle nebbie fumose dell’attesa di risposte da parte del Governo, la cui qualità sarebbe da valutare per poi decidere se “aumentare la qualità e l’intensità dell’iniziativa”, secondo l’alfabeto di Camusso.

In poche parole, lo sciopero è di là da venire, per ora accontentiamoci della manifestazione del 27 novembre. E invece è solo con una risposta immediata, con iniziative di lotta efficaci, che si può fermare questa deriva. Anche qualsiasi trattativa, se non è accompagnata dalla protesta dei lavoratori, è destinata a fallire, o ad accettare di essere subalterna. Se vorranno ottenere dei risultati, i lavoratori dovranno imparare – o re-imparare – ad organizzarsi e a lottare, Cgil o non Cgil.